Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1472 del 4 febbraio 1999

(8 massime)

(massima n. 1)

Il difensore che assuma formalmente l'incarico a favore di un assistito, ma in realtà su impulso e mandato sostanziale di altri soggetti, che provvedono materialmente al compenso, al solo scopo di venire a conoscenza delle dichiarazioni del suo assistito e di poterle riferire a quelli, e che poi così faccia, pone in essere una condotta diretta ad aiutare detti soggetti a eludere le investigazioni dell'autorità, integrante il reato di favoreggiamento personale, di cui all'art. 378 c.p.

(massima n. 2)

In tema di chiamata di correo, non sono assimilabili a mere dichiarazioni de relato quelle con le quali si riferisca in ordine a fatti o circostanze attinenti la vita e l'attività di un sodalizio criminoso, dei quali il dichiarante sia venuto a conoscenza nella sua qualità di aderente, in posizione di vertice, al medesimo sodalizio, trattandosi di un patrimonio conoscitivo derivante da un flusso circolare di informazioni relativamente a fatti di interesse comune agli associati. (Fattispecie in tema di associazione per delinquere dedita a rapine).

(massima n. 3)

In tema di incompatibilità del difensore, malgrado che il giudice, dopo aver rilevato la incompatibilità, non abbia provveduto a indicarla, esponendone i motivi e a fissare un termine per rimuoverla, avendo invece sostituito direttamente il difensore incompatibile con uno di ufficio, non sussiste violazione dell'art. 178, comma primo, lett. c), c.p.p., ove in concreto nessun pregiudizio alla difesa dell'imputato sia derivato dalla inosservanza della procedura prevista dall'art. 106 c.p.p. (Fattispecie in cui l'imputato, subito dopo la sostituzione del precedente difensore con quello di ufficio, ne aveva nominato altro di fiducia, che aveva regolarmente preso parte all'attività processuale).

(massima n. 4)

In tema di reati associativi, perché si realizzi la partecipazione dei singoli associati, non è necessario che ciascun partecipe consegua direttamente, per sè o per altri, il profitto o il vantaggio da realizzare attraverso l'associazione, contrassegnato dal connotato della ingiustizia. La condotta di partecipazione consiste nel contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione e, quindi, alla realizzazione dell'offesa degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo o il compito che il partecipe svolga nell'ambito dell'associazione.

(massima n. 5)

In tema di sindacato della Corte di cassazione sulla valutazione delle chiamate di correo operata dal giudice di merito, non è consentito al giudice di legittimità un controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perché un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, ma gli è conferito solo il compito di verificare l'adeguatezza e la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sè stessi e nel loro reciproco collegamento. Il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire cioè giudice del contenuto della prova, trattandosi di un compito estraneo a quello istituzionalmente affidatogli, anche perché, con il nuovo codice di rito, il travisamento del fatto è stato espunto dai vizi concernenti la motivazione, essendo richiesto che eventuali contrasti siano interni a quest'ultima.

(massima n. 6)

La disciplina transitoria di cui all'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267, non vieta in alcun modo la lettura, a norma dell'art. 512 c.p.p., delle dichiarazioni rilasciate nella fase delle indagini da soggetto imputato in procedimento connesso di cui, per sopraggiunta irreperibilità, non sia stato possibile assicurare la presenza in dibattimento, tanto più che tale norma è espressamente richiamata dall'art. 513, comma secondo, c.p.p., proprio nel testo modificato dalla legge n. 267 del 1997.

(massima n. 7)

Le norme in materia di impugnazione, pur essendo ispirate a un articolato formalismo, finalizzato a delimitare gli esatti confini della cognizione del giudice del gravame, vanno comunque interpretate alla luce del principio del favor separationis, di tal che, ai fini della individuazione delle censure, l'atto di impugnazione deve essere valutato nel suo complesso. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto che dal complesso dell'atto di impugnazione del pubblico ministero emergesse la sua volontà di interporre appello, in ordine alla misura della pena, anche nei confronti di alcuni imputati i cui nomi non erano stati formalmente ripetuti in una parte dell'atto).

(massima n. 8)

Qualora l'imputato sia stato sottoposto coattivamente a prelievo di sangue da sottoporre a perizia ematologica, il risultato della prova così conseguita, contrastando con quanto affermato dalla sent. n. 238 del 1996 della Corte cost. - che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 224 c.p.p. nella parte in cui consente al giudice di disporre misure aventi incidenza sulla libertà personale dell'imputato senza che siano previsti dalla legge i casi e i modi per l'espletamento di tale attività - è inutilizzabile, e ciò anche qualora il prelievo sia stato effettuato in epoca antecedente alla predetta sentenza, posto che i divieti di utilizzazione probatoria operano fino al momento della decisione e non solo nel momento di acquisizione della prova, in tal modo dovendosi applicare, relativamente a tale materia, il principio tempus regit actum. Peraltro, il rifiuto ingiustificato dell'imputato di sottoporsi spontaneamente al prelievo, non essendo motivato da ragioni inerenti all'invasione della propria sfera corporale e quindi alla violazione della libertà personale, ma da argomenti pretestuosi, può essere valutato dal giudice come elemento di convincimento. (Nella specie, come riscontro individualizzante a chiamata di correo).

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