Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 6925 del 16 giugno 1995

(4 massime)

(massima n. 1)

Il giudice al quale sia stata presentata richiesta di rimessione del processo, ai sensi degli artt. 45 e 46 c.p.p., non può, perché funzionalmente incompetente, adottare pronuncia alcuna in relazione alla richiesta medesima, ma deve limitarsi a trasmetterla immediatamente alla Corte di cassazione, astenendosi dall'emettere la sentenza fino a che non sia intervenuta la relativa decisione: e ciò anche nelle ipotesi in cui l'inammissibilità o l'infondatezza della istanza siano rilevabili ictu oculi, ovvero nel caso in cui l'interessato abbia riproposto la istanza di rimessione dopo che la precedente sia stata rigettata o dichiarata inammissibile dalla Corte di cassazione; i suddetti obblighi del giudice, tuttavia, presuppongono l'esistenza di un atto avente i caratteri propri della richiesta di rimessione nei termini precisati dall'art. 45 c.p.p., con la conseguenza che non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 46, terzo comma, e 47, primo comma, c.p.p., che li prevedono, qualora l'atto presentato sia privo della prescritta motivazione o provenga da soggetto non legittimato (quale, ad esempio, la parte civile), e con l'ulteriore conseguenza che, non potendo esso qualificarsi per quello che vorrebbe essere, al giudice è consentito constatarne la non corrispondenza al tipo previsto dalla legge.

(massima n. 2)

L'onere di notificare l'atto alle altre parti, che l'art. 46, comma 1, c.p.p., pone a carico di chi abbia presentato richiesta di rimessione del processo, non viene meno per il semplice fatto che il giudice, cui l'istanza sia stata presentata, abbia irritualmente provveduto su di essa; la parte che intenda insistere nella richiesta coltivando le previste impugnazioni, pertanto, deve comunque curare, a pena di inammissibilità, il rigoroso formale adempimento della notifica dell'istanza alle altre parti entro sette giorni dal suo deposito in cancelleria.

(massima n. 3)

La sentenza pronunciata in violazione del divieto posto dall'art. 47, comma 1, c.p.p., che inibisce al giudice di definire il giudizio finché non sia intervenuta l'ordinanza della Corte di cassazione che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione del processo, è nulla solo nel caso in cui la Corte medesima abbia accolto l'istanza, mentre conserva piena validità tutte le volte che essa sia dichiarata inammissibile o rigettata: il predetto divieto, infatti, integra un temporaneo difetto di potere giurisdizionale, limitato alla possibilità di pronunciare la sentenza e condizionato alla decisione della Corte di cassazione dichiarativa della sussistenza delle condizioni per la rimessione del processo ad altro giudice, e quindi della competenza, con la conseguenza che la valutazione di validità o meno della sentenza irritualmente adottata avviene secundum eventum.

(massima n. 4)

Qualora il giudice, cui sia stata presentata richiesta di rimessione del processo ai sensi dell'art. 45 c.p.p., abbia irritualmente provveduto a dichiarare l'inammissibilità, la Corte di cassazione, annullata l'ordinanza impugnata, può decidere direttamente nel merito dell'istanza, in applicazione del principio generale, desumibile dagli artt. 620, lett. i), e 621 c.p.p., secondo il quale, nel caso in cui altro giudice abbia pronunciato in materia di sua competenza la Corte procede all'annullamento senza rinvio e ritiene il giudizio.

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