Cassazione penale Sez. I sentenza n. 14 del 5 gennaio 1994

(7 massime)

(massima n. 1)

Allorquando venga proposto, ai sensi dell'art. 311, comma secondo, c.p.p., ricorso diretto per cassazione avverso ordinanze che dispongono misure cautelari, è proponibile la censura prospettata sulla base dell'asserita violazione, da parte del Gip, dell'obbligo di esporre gli indizi che giustificano, in concreto, la misura disposta e, quindi, di indicare la loro genesi, il loro contenuto e la loro rilevanza. Improponibile, invece, è ogni rilievo che, travalicando i limiti del sindacato consentito sulla motivazione del provvedimento impugnato, sconfini nella verifica della fondatezza degli elementi acquisiti ed utilizzati dal giudice che ha adottato il provvedimento impugnato.

(massima n. 2)

Il collegio per i reati ministeriali previsto dall'art. 7 della legge cost. 16 gennaio 1989 n. 1 non è un giudice speciale né un organo della giustizia penale-costituzionale, ma è soltanto un organo specializzato della giurisdizione ordinaria, il quale, dotato di specifica competenza funzionale in relazione alla particolare qualificazione dei reati dei quali deve occuparsi, esercita, con riguardo a questi ultimi, oltre alle funzioni proprie del pubblico ministero, anche quelle del giudice per le indagini preliminari. Conseguentemente, ove tali ultime funzioni vengano esercitate da un normale giudice per le indagini preliminari, il provvedimento da questi adottato (nella specie trattavasi di ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta del locale ufficio del pubblico ministero), non può dirsi viziato da carenza di giurisdizione, ma soltanto da incompetenza funzionale che dà luogo, comunque, a nullità assoluta e insanabile.

(massima n. 3)

Il coltello a serramanico, detto anche a scatto o molletta, la cui lama, una volta spiegata con un congegno a molla, rimane fissata nel manico, assumendo le caratteristiche di un pugnale o stiletto, rientra nella categoria delle armi proprie non da sparo. Il porto di tale coltello è vietato in modo assoluto ed è punito, a norma dell'art. 699, comma 2, c.p., con l'arresto da diciotto mesi a tre anni, non essendo stato il minimo di detta pena derogato dall'art. 7, comma 2, ultima parte, L. 2 ottobre 1967, n. 895, come sostituito dall'art. 14 della L. 14 ottobre 1974, n. 497.

(massima n. 4)

In tema di reati ministeriali, la violazione del divieto, per il procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 6, comma secondo, della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, di compiere indagini prima della trasmissione delle proprie richieste, con i relativi atti, al collegio di cui all'art. 7 della citata legge costituzionale non comporta l'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in sede cautelare, degli elementi acquisiti; e ciò in forza della espressa deroga al principio della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite prevista dall'art. 26 c.p.p. per il caso in cui tale illegittimità derivi dall'inosservanza delle norme sulla competenza per materia (assimilabile a quella per funzione) e le prove siano ripetibili ed utilizzate soltanto nella fase precedente il giudizio.

(massima n. 5)

L'incompetenza funzionale equivale al disconoscimento della ripartizione delle attribuzioni del giudice in relazione allo sviluppo del processo e riflette i suoi effetti direttamente sull'idoneità specifica dell'organo all'adozione di un determinato provvedimento. Essa, pur non avendo trovato un'esplicita previsione neppure nel nuovo codice di procedura penale, proprio perché connaturata alla costruzione normativa delle attribuzioni del giudice ed allo sviluppo del rapporto processuale, è desumibile dal sistema ed esprime tutta la sua imponente rilevanza in relazione alla legittimità del provvedimento emesso dal giudice, perché la sua mancanza rende tale provvedimento non più conforme a parametri normativi di riferimento. (Nella specie, in applicazione di tali principi, è stato riconosciuto affetto da incompetenza funzionale, e viziato, quindi, da nullità assoluta, il provvedimento di applicazione di una misura cautelare adottato da un giudice per le indagini preliminari in un caso in cui, trattandosi di reati ministeriali, sussisteva la speciale competenza funzionale del collegio previsto dall'art. 7 della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1).

(massima n. 6)

La provvisoria efficacia, ai sensi dell'art. 27 c.p.p., dell'ordinanza applicativa di misura cautelare emessa da giudice incompetente, va riconosciuta anche nel caso in cui trattisi di incompetenza funzionale e questa sia dichiarata non dallo stesso giudice ma dalla Corte di cassazione a seguito di ricorso per saltum proposto avverso la suddetta ordinanza; e ciò in quanto è soltanto l'incompetenza, come tale, a giustificare la provvisoria ultrattività del provvedimento impositivo della misura cautelare, quale che sia la fase del procedimento nella quale tale incompetenza sia riconosciuta e dichiarata.

(massima n. 7)

Posto che l'incompetenza per materia - alla quale è, per molti aspetti assimilabile quella funzionale - deve ritenersi deducibile, sulla base essenzialmente del disposto di cui all'art. 21, comma primo, c.p.p. (nel quale, significativamente, figura il termine «processo» in luogo di quello «giudizio» che figurava nell'omologa disposizione costituita dall'art. 33 del codice abrogato), anche nella fase precedente al giudizio, nulla rilevando in contrario né la disciplina contenuta nell'art. 22 c.p.p. (che regola soltanto i diversi provvedimenti che il giudice, a seconda delle fasi procedimentali in cui opera, deve adottare in relazione ad un accertato difetto di competenza), né la prevista possibilità, per il giudice incompetente, ai sensi degli artt. 27 e 291 c.p.p., di adottare misure cautelari provvisoriamente esecutive, ne deriva che nessuna preclusione sussiste alla deducibilità, in sede di ricorso per saltum avverso ordinanza impositiva di misura cautelare, della non rilevata incompetenza funzionale del Gip che ha pronunciato la detta ordinanza.

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