Cassazione civile Sez. I sentenza n. 1222 del 4 febbraio 2000

(2 massime)

(massima n. 1)

Ove, oltre al coniuge divorziato ed al coniuge superstite, esistano anche figli del lavoratore defunto (e/o altri parenti od affini a suo carico) aventi diritto alla indennità di buonuscita ai sensi dell'art. 2122 c.c., dal coordinamento di tale disposizione con l'art. 9 della legge 898/70 si estrae complessivamente la regola che al coniuge divorziato, nella fattispecie considerata (di concorso di plurimi aventi diritto), va attribuita una quota della quota del coniuge superstite; per cui, tra i due (od eventualmente più) coniugi, dovrà in pratica, suddividersi la quota di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri superstiti aventi diritto ex art. 2122, comma primo, c.c. Devesi, per altro, precisare, ai fini di tale preventiva determinazione, che dei due criteri all'uopo indicati dal predetto art. 2122 c.c. — secondo il quale «la ripartizione della indennità se non vi è accordo tra gli aventi diritto (primo), deve farsi secondo il bisogno di ciascuno (secondo)» —non risulta applicabile, giacché incompatibile, il primo, e rileva quindi unicamente il successivo (ripartizione «secondo il bisogno»).

(massima n. 2)

L'espressione «altri assegni» contenuta nell'art. 9, nuovo testo, L. n. 898/1970 deve intendersi riferita ad ogni attribuzione anche solo in senso lato previdenziale spettante in dipendenza della morte all'ex coniuge. Anche con riguardo agli «altri assegni», tra i quali rientra l'indennità di buonuscita, il citato art. 9, terzo comma, attribuisce al coniuge divorziato una «quota» formante oggetto di un suo diritto autonomo, che trova la sua fonte diretta nella qualità stessa di ex coniuge in relazione alla funzione e disciplina (concorrentemente) previdenziale dell'emolumento in questione. Il diritto del coniuge divorziato ha natura, quindi, identica a quella del diritto riconosciuto al coniuge superstite, sì che l'un diritto non deriva dall'altro ma entrambi concorrono fra loro in pari grado ed allo stesso titolo (e cioè, iure proprio), in ragione della durata dei rispettivi rapporti di coniugio.

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