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Articolo 2639 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Estensione delle qualifiche soggettive

Dispositivo dell'art. 2639 Codice Civile

Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione(1).

Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni alla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi(2).

Note

(1) Il primo comma dà la definizione di amministratore di fatto, che postula l'esercizio continuo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
(2) Per l'amministratore di fatto vale il principio di equiparazione alla figura dell'amministratore di diritto, con la conseguenza che l'amministratore di fatto è gravato degli stessi doveri dell'amministratore di diritto e, in caso di concorso delle condizioni oggettive e soggettive previste dall'art. 2639, lo stesso risponderà per i comportamenti penalmente rilevanti ad esso addebitabili.

Massime relative all'art. 2639 Codice Civile

Cass. civ. n. 2586/2014

In materia societaria è ravvisabile la figura dell'amministratore di fatto nella persona di cui sia stato accertato l'avvenuto inserimento nella gestione di impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative.(Così statuendo la S.C. ha cassato la decisione impugnata, dichiarativa dell'inesistenza della notifica degli avvisi di accertamento, ai fini IRPEF ed ILOR, ad una società a responsabilità limitata, con conseguente decadenza dell'Amministrazione finanziaria dall'azione di accertamento ex art. 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, perché effettuata ad un soggetto a cui era stata negata la qualifica di amministratore di fatto senza adeguatamente valutare che lo stesso era stato indicato dal deceduto amministratore formale come il "dominus" della società ed il punto di riferimento per ogni relativo fatto gestionale).

Cass. pen. n. 35346/2013

La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione.

Cass. pen. n. 39535/2012

La configurazione nell'art. 2639 cod. civ. della nozione di amministratore di fatto non comporta che questi possa essere ritenuto autore esclusivamente dei reati societari e non anche di quelli fallimentari.

Cass. pen. n. 33385/2012

Il soggetto che assuma, in base alla disciplina prevista dall'art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto", essendo tenuto ad impedire ex art. 40, comma secondo, c.p. le condotte illecite riguardanti l'amministrazione della società o a pretendere l'esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, è responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti in essere dall'amministratore di diritto, al quale è sostanzialmente equiparato.

Cass. pen. n. 15065/2011

Il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall'art. 2639 c.c., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall'art. 40, comma secondo, c.p. (Fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione).

Cass. pen. n. 46962/2007

In tema di reati fallimentari, la previsione di cui all'art. 2639 c.c. — nel testo modificato dal D.L.vo n. 61 del 2002 — non esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, i quali — in tempi successivi o anche contemporaneamente — esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.

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Consulenze legali
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F. P. chiede
martedì 07/02/2023 - Veneto
“Buongiorno,
di seguito il quesito.

Sono socio di una SRLS (SRL semplificata) che si occupa di commercio di rottami, con quota del 35%.

L'altro socio è mia madre, con quota del 65%. Mia madre è amministratore unico con poteri di rappresentanza, io non svolgo alcun ruolo nella società, essendo che ho un'attività come libero professionista in tutt'altro settore economico.

Chiedo il seguente parere: io percepisco unicamente la mia quota di utili, e non ho alcun ruolo o potere di rappresentanza. Rimango comunque "titolare effettivo"?

Nel caso in cui venissero rilevate delle condotte da parte della società che possono comportare un rischio di reato (il settore del commercio di rottami/rifiuti è ad alto rischio, e fortemente regolamentato), anche nel caso in cui non vi sia una mia condotta attiva (io non svolgo alcuna attività), rischio comunque di rientrare tra i responsabili?

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 09/02/2023
Prima di rispondere al quesito, occorre fare una breve premessa.
Vero è che il settore del commercio dei rottami (soprattutto del ferro) e dei rifiuti è ricco di implicazioni di rilievo penale, ma è anche vero che tali implicazioni sono di natura perlopiù tributaria e ambientale.
Di fatto, nella maggior parte dei casi, si tratta di questioni connesse alla mancanza delle autorizzazioni ambientali e/o all’inottemperanza di taluni obblighi di natura tributaria in cui è facile incorrere stante, da un lato, la peculiarità dell’attività e, dall’altro, la regolamentazione cui la stessa soggiace.

Tenere a mente tale circostanza è rilevante in quanto dalla stessa si deduce che i reati in cui è facile incorrere pertengono soltanto a chi ha la rappresentanza legale della società.
Va detto, infatti, che la maggior parte dei reati tributati (praticamente quasi tutti) e la gran parte dei reati ambientali connessi all’esercizio dell’attività senza le prescritte autorizzazioni sono reati propri e, dunque, commettibili solo da chi riveste la qualifica di legale rappresentante della società.

Conseguentemente, il soggetto, seppur socio, che non riveste tale qualifica non rischia di incorrere in alcuna delle fattispecie sopra descritte.

Ciò, naturalmente, a meno che il soggetto “non titolato” venga inquadrato come amministratore di fatto, ai sensi dell’ art. 2639 del c.c..
In tal caso a nulla rileva la qualifica soggettiva stante l’equiparazione fatta dal legislatore tra chi è formalmente investito di una specifica carica e chi, invece, la svolge di fatto.

Va tuttavia rimarcato che ritenere un soggetto amministratore di fatto non è così semplice. Stando infatti alla giurisprudenza costante, l’amministratore di fatto è colui il quale svolge una determinata carica (pur senza investitura formale) in modo quantitativamente e qualitativamente notevole, giungendo ad un livello di compenetrazione organica (soprattutto laddove si tratti di rappresentanza legale di una società) di spicco, tale per cui è possibile ritenere che il soggetto in questione decida, di fatto, le sorti e la politica aziendale.

Dal tenore della richiesta di parere non sembrano sussistere tali presupposti e, dunque, è possibile concludere per l’assenza di rischi penali nel caso emarginato.