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Minore costretto ad assistere ad una violenza sessuale: è persona offesa dal reato e va risarcito

Minore costretto ad assistere ad una violenza sessuale: è persona offesa dal reato e va risarcito
Secondo la Cassazione anche il minore costretto ad assistere ad una violenza sessuale può essere considerato persona offesa dal reato ed è pienamente legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 45403 del 27 ottobre 2016, si è occupata di un interessante caso in materia di violenza sessuale aggravata (art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p.).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Latina aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di un imputato che era stato accusato di tale reato per aver costretto con violenza la convivente ad avere un rapporto sessuale con lui, costringendo la figlia minore ad assistere.

Secondo il giudice, in particolare, non sussistevano elementi di prova sufficienti a sostenere l’accusa, anche alla luce della ritrattazione della persona offesa davanti al Pubblico Ministero.

Ritenendo la decisione ingiusta, il tutore della minore proponeva ricorso per Cassazione, il quale veniva accolto.

Osservava la Corte di Cassazione, in particolare, come sussistesse la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 c.p., che “prevede un aggravamento di pena nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale e nel delitto di cui all'art. 572 c.p., quando il fatto sia commesso in presenza o in danno di un minore degli anni diciotto o in danno di una persona in stato di gravidanza”.

Precisava la Cassazione come, con l’introduzione di tale disposizione, il nostro legislatore abbia voluto “attribuire specifica valenza giuridica alla c.d. "violenza assistita", intesa come il complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza e, soprattutto, a quelli di cui è vittima la madre”.

La disposizione, infatti, è finalizzata “a sanzionare, attraverso l'aggravamento del trattamento punitivo, l'esposizione del minore alla percezione di atti di violenza, sia nei confronti di altri componenti del nucleo familiare, sia di terzi, tra l'altro attuando una specifica indicazione contenuta in tal senso nell'art. 46 d) della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”.

Di conseguenza, secondo la Corte, “il minore che abbia assistito ad uno dei delitti indicati nella disposizione può essere considerato anch'egli persona offesa del reato, in quanto la configurabilità di detta circostanza aggravante determina una estensione dell'ambito della tutela penale, anche al minore che abbia assistito alla violenza, come tale pienamente legittimato a costituirsi parte civile, essendo anch'egli danneggiato dal reato”.

Ciò premesso, la Corte di Cassazione evidenziava che il Giudice di primo grado aveva contraddittoriamente prosciolto l’imputato dal reato di violenza sessuale aggravata, con una motivazione che si limitava “a richiamare gli atti di indagine, senza indicarne, nemmeno in sintesi, il contenuto” e che non consentiva “di verificare la correttezza del percorso logico seguito dal primo giudice”.

Secondo la Cassazione, inoltre, il primo giudice non aveva adeguatamente tenuto conto “della esistenza di significativi elementi” a carico dell’imputato, rappresentati dalle dichiarazioni iniziali della vittima.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, rinviando la causa al Tribunale, affinchè il medesimo decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.


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