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Lavoro part time, buone notizie dalla Cassazione: da oggi basta con le limitazioni sull'avanzamento di carriera

Lavoro part time, buone notizie dalla Cassazione: da oggi basta con le limitazioni sull'avanzamento di carriera
La Cassazione mette un chiaro paletto alla discriminazione di genere in ambito lavorativo pronunciandosi sul lavoro part time, scelto per lo più dalle donne
Lavori e hai bimbi piccoli, una casa da gestire e sei donna. Per non impazzire tra i compiti scolastici dei tuoi figli, gli orari di ufficio, quelli della piscina o del catechismo, hai scelto di lavorare part time, ovvero un numero di ore ridotto rispetto allo standard previsto dal tuo contratto.

Benissimo! Anzi no: lavori da svariati anni e sei ferma al palo? Quasi tutti i colleghi guadagnano più di te e ricoprono posizioni manageriali?

Arriva una buona notizia: la Corte di Cassazione ha detto stop a penalizzazioni di carriera se fai il part time, con una pronuncia che mette il dito nella piaga del lavoro femminile discriminato e della disparità di trattamento nelle progressioni economiche.

Facciamo subito una puntualizzazione: la Cassazione si pronuncia sul lavoro part time, ovvero sulla modalità di lavoro ridotto. Ma il part time oggi in Italia è quasi del tutto appannaggio delle donne lavoratrici e la Suprema Corte finisce, così. per pronunciarsi sul tema spinoso delle discriminazione di genere.

Prima di capire cosa dice la Cassazione, soffermiamoci brevemente sul lavoro part time.

Il part-time si è diffuso lentamente in Italia dagli anni '90 e si è rivelato il fedele alleato di molte donne, soprattutto come risposta ponderata a una realtà sociale che, ancora troppo spesso, affida per lo più a loro la responsabilità della gestione della casa e della famiglia.

Nel tessuto della nostra società, infatti, la figura della donna continua a essere il perno su cui ruotano le dinamiche familiari. L'impegno profuso nell'arte di equilibrare il lavoro con le responsabilità domestiche, soprattutto quando in casa arrivano i bambini, è un capitolo ben noto nella storia delle lavoratrici italiane.

È in questo contesto che il lavoro part-time si manifesta come una soluzione adattabile, offrendo spazio per l’attività lavorativa senza compromettere in maniera eccessiva il tradizionale equilibrio familiare.

Ma c’è un ma, ed è il pregiudizio che vede il part-time come una scelta di seconda classe, non allineata alle ambizioni di carriera. In molti contesti lavorativi, il numero di ore di presenza in ufficio è considerato un indicatore di impegno e di dedizione e, di fatto, premiato.

Le donne, quindi, sono spesso tagliate fuori da opportunità di avanzamento economico e sviluppo professionale.

La recentissima pronuncia della Cassazione mette un punto su questa annosa discussione. Vediamo di che si tratta.

La vicenda da cui scaturisce l’ordinanza della Corte

Un'impiegata part time presso l'Agenzia delle Entrate ricorre al Tribunale di Genova e denuncia di essere stata penalizzata durante una selezione interna per il passaggio a una fascia retributiva superiore, rispetto ai colleghi (maschi) a tempo pieno.

In particolare l’impiegata accusa il datore di lavoro di averle attribuito, nella valutazione dell’anzianità di servizio ai fini della progressione economica, un punteggio ridotto, in relazione al numero di ore di lavoro svolte rispetto ai colleghi full time.

La ricorrente precisa che il suo punteggio non sarebbe stato inferiore, bensì superiore, se la sua anzianità di servizio fosse stata valutata per intero, senza tener conto cioè della ridotta presenza oraria sul luogo di lavoro.

L’impiegata dell’Agenzia delle Entrate individua in questa riduzione di punteggio un comportamento contrario sia al d.lgs 61/2000, che disciplina il part time, sia al d.lgs 198/2006, che vieta ogni forma di discriminazione di genere in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione.

Questa discriminazione di genere di fatto si concretizza perché al part time ricorrono in maggioranza le donne.

Entrambi i giudici di merito, Tribunale e Corte di appello di Genova, condividendo la tesi dell'impiegata, condannano l’Agenzia delle Entrate a cessare il comportamento discriminatorio e a pagare le maggiori retribuzioni nel frattempo maturate.

L’Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione e così arriviamo al 19 febbraio 2024, giorno in cui è stata depositata la pronuncia della Suprema Corte.

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione chiarisce due aspetti controversi molto importanti:

  • Non c’è nessuna correlazione automatica tra numero di ore di lavoro svolte e anzianità di servizio: la Corte sottolinea che la riduzione dell'orario di lavoro non può automaticamente comportare una riduzione dell'anzianità di servizio valutata per le progressioni economiche. Questo principio mira a garantire che le valutazioni siano effettuate in modo equo, indipendentemente dal tipo di contratto (full time/part time).


La Cassazione aggiunge che - e sottolineiamo questo passaggio - l’art 4 del d.lgs 61/2000, disponendo che il trattamento del lavoratore part time sia “riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa”, si riferisce esclusivamente alla retribuzione, che ovviamente non può essere uguale, ma proporzionata, a quella del lavoratore full time.

Il legislatore vuole che il datore di lavoro si assicuri che i lavoratori full time e part time ricevano in egual misura uno stipendio equo in base alle ore effettivamente svolte. Tuttavia questa norma non trova applicazione per ciò che riguarda la possibilità di accesso a determinate progressioni economiche.

  • Discriminazione di genere legata al part time: la Cassazione riconosce che, poiché il lavoro part time coinvolge principalmente le donne, qualsiasi automatismo che penalizzi il part time equivale a una discriminazione di genere indiretta. La sentenza sottolinea che svalutare il part time nelle progressioni economiche penalizza le donne rispetto agli uomini, considerando il loro maggiore coinvolgimento in ambito familiare e assistenziale.


La Corte motiva la sua decisione dichiarando che la discriminazione nelle progressioni economiche dei lavoratori part time colpisce indirettamente le donne, aggravando già le sfide che esse affrontano nell'accesso al mondo del lavoro.

Il risultato di questa penalizzazione è evidente nelle statistiche sulla rappresentanza femminile nei ruoli di leadership. Le donne, pur dimostrando competenze e dedizione, faticano a salire la scala gerarchica a causa delle barriere sistemiche che il part-time spesso accentua anziché ridurre.

Questa sentenza può fungere dunque da importante punto di riferimento, non solo nel settore pubblico, ma anche in ambito privato. Le donne lavoratrici ringraziano.


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