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Maltrattamenti in famiglia e lavoro dipendente

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Maltrattamenti in famiglia e lavoro dipendente
Non è configurabile il reato di "maltrattamenti in famiglia" nell'ambito di un rapporto di lavoro se il rapporto non è chiaramente di natura para-familiare.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26766 del 28 giugno 2016, è intervenuta sul tema della configurabilità del reato di “maltrattamenti in famiglia”, di cui agli artt. 110 e 572 codice penale, nell’ambito del rapporto tra lavoratore e dipendente.

Va osservato, infatti, che, a determinate condizioni, precisate, nella sentenza in commento, dalla medesima Corte di Cassazione, il reato può ritenersi configurabile anche nell’ambito di un rapporto di lavoro, nonostante non si sia in presenza di una relazione di tipo famigliare.

Nel caso esaminato dalla Corte, la Corte d’Appello aveva ridotto la pena stabilita, in primo grado, per i condannati in questione.

Nel caso di specie, gli imputati, titolari di una tabaccheria, avrebbero sottoposto, per oltre 5 anni, la loro dipendente “a maltrattamenti, consistiti in abituali atti di scherno, disprezzo e vilipendio, riguardanti il suo aspetto fisico e le sue competenze professionali, anche al cospetto dei clienti, così da determinare l’insorgere nella stessa di una patologia psichica”.

Gli imputati, ritenendo la conferma della condanna ingiusta, proponevano ricorso per Cassazione, rilevando come il reato di maltrattamenti di famiglia non fosse applicabile nell’ambito del rapporto di lavoro in questione, “nel quale non era sussistente quel rapporto di stretta dipendenza necessario per renderlo equiparabile ad un rapporto famigliare”.

La Corte di Cassazione, riteneva, in effetti, fondato il ricorso, che veniva, dunque, accolto.

Secondo la Cassazione, infatti, “le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente, possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare”, essendo necessario che tale rapporto “sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia”.

Ricorda la Corte, infatti, che risulta necessario, ai fini della configurabilità del reato in questione, che “il soggetto agente versi in una posizione di supremazia, che si traduca nell’esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo”, in modo da potersi parlare di un vero e proprio rapporto “para-familiare”, quale, ad esempio, può essere un rapporto tra collaboratore domestico e padrone di casa, o quello tra maestro d’arte e apprendista.

Nel caso di specie, invece, secondo la Cassazione, non ricorrevano i presupposti necessari per ritenere configurabile il reato di cui all’art. 572 codice penale, in quanto il rapporto di lavoro in questione non poteva considerarsi un rapporto di natura “para-familiare”, non avendo le caratteristiche sopra riportate.

Allo stesso modo, secondo la Corte, non sussistevano i presupposti per ritenere configurabili altri reati, come quello di lesioni personali, minaccia, ingiuria o violenza privata.

Pertanto, secondo la Corte, la sentenza impugnata andava annullata, in quanto il reato contestato non sussisteva.


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