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Insultare un defunto o imbrattare un manifesto funebre è reato: attenzione, le pene sono molto pesanti

Insultare un defunto o imbrattare un manifesto funebre è reato: attenzione, le pene sono molto pesanti
Ecco cosa rischia chi reca offesa ad una persona deceduta: reclusione e multe oltre 1000 euro
“Froci!”. Questa la scritta comparsa nella notte del 29 agosto, nel torinese, sul manifesto funebre del 76enne Adriano Canese, dal 2016 unito civilmente a Corrado Brun.
Il coniuge si è detto dispiaciuto per il fatto “che oggi, nel 2023, ci sia ancora qualcuno talmente ossessionato dall’omosessualità da doversi prendere la briga di insultare. Certo questo fatto, questa scritta nel necrologio, mi amareggia. Cambiano le generazioni ma la cretineria resta. Oggi, purtroppo, c’è la legittimazione all’insulto. Forse perché li sentono da certi politici”.

È davvero legittimo oggi insultare chi è morto?
Caro Corrado, in realtà no, non c’è legittimazione all’insulto. Nemmeno nei confronti di chi non c’è più. Insultare una persona, infatti, è illegale. E lo è anche se la persona in questione sia passata a miglior vita.

Ma procediamo per gradi. Innanzitutto chi “compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti” soggiace alla sanzione amministrativa pecuniaria che va da 51 euro fino ad un massimo di 309 euro (art. 724 c.p.).
L’illecito si realizza quando vengono effettuate delle dichiarazioni offensive nei confronti del defunto, a prescindere dall’intento offensivo.
Questo significa che due sono le condizioni sufficienti ai fini dell’applicazione della sanzione:
  1. La dichiarazione offensiva deve avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico;
  2. L’offesa deve essere attuata in presenza di due o più persone.
L’illecito costituiva reato fino al 1999 quando, per effetto del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 la fattispecie è stata depenalizzata.

Attenzione però, ché gli insulti, quando offendono la reputazione della persona assente (anche quella che sia assente per motivi di forza maggiore quali la morte), possono comunque fare scattare il reato di diffamazione (art. 595 c.p.). Chi diffama il morto, dunque, può essere denunciato e rischia “la reclusione fino ad un anno” o “la multa fino a 1032 euro”. La pena è però aumentata (reclusione da 6 mesi a 3 anni o multa non inferiore a 516 euro) se la diffamazione è avvenuta col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.

Poco importa che la vittima appartenga ormai all’altro mondo. In questo caso a sporgere denuncia non sarà la persona offesa dal reato ma i suoi eredi, legittimati anche a chiedere il risarcimento del danno. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con sentenza n. 21209/17, che ha stabilito che gli eredi possono difendere la memoria del parente defunto contro chi parla male di lui nonostante questi non ci sia più. In casi come questo il familiare può “ritenersi persona offesa” dal reato e “titolare dell’interesse a difendere la memoria” della persona morta.

Prestate dunque attenzione.
Ché chi non muore si rivede. E chi muore pure.


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