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Articolo 102 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Abitualità presunta dalla legge

Dispositivo dell'art. 102 Codice Penale

È dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro i dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti.

Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive [106, 107, 109, 215](1).

Note

(1) La legge prevede due specie di abitualità,la quale può, quindi, essere o presunta dalla legge o ritenuta dal giudice. L'articolo in esame si occupa dell'abitualità presunta dalla legge, in merito alla quale si deve ricordare che, secondo il regime introdotto dagli articoli 21 e 31 della legge 10 ottobre 1986, n.663, è richiesta la sussistenza non solo dei presupposti richiesti dalla disposizione in esame, ma anche di una concreta ed attuale pericolosità sociale del reo, che deve essere valutata dal giudice. Il legislatore, con tale intervento, ha così trasformato la presunzione di abitualità da assoluta a relativa. Una parte della dottrina è giunta addirittura a considerare l'articolo in esame come tacitamente abrogato dall'art. 31, l. 10 ottobre 1986,n. 663 con la conseguenza che nell'ordinamento vigente l'abitualità è solo quella ritenuta dal giudice (v. 103).

Ratio Legis

Il legislatore non poteva non considerare che, in alcuni casi, il ripetersi di certe condotte è sintomo di una particolare inclinazione del soggetto al reato, motivo per il quale ha previsto determinati effetti penali.

Brocardi

Consuetudo delinquendi

Spiegazione dell'art. 102 Codice Penale

Il nostro legislatore ha previsto tre tipologie di delinquenti pericolosi, ciascuno dei quali esprime una differente manifestazione di pericolosità sociale. Essi sono il delinquente abituale, il delinquente professionale ed il delinquente per tendenza.

Tali tre tipologie rappresentano soggetti perfettamente imputabili (eventuali patologie che li rendano eventualmente più inclini alla delinquenza rilevano aliunde ex artt. 85 e ss.), e contemporaneamente pericolosi, nei cui confronti, oltre alla pena principale, può essere applicata anche una misura di sicurezza ex art. 109.

Oltre ad essa, la dichiarazione comporta inoltre vari effetti secondari:



  • esclusione della prescrizione della pena per i delitti e raddoppio del tempo necessario a prescrivere per le contravvenzioni (artt. 172 e 173);

  • raddoppio del tempo necessario ad ottenere la riabilitazione (art. 179).


Va precisato sin da subito che in ogni caso, ai fini della applicazione di una misura di sicurezza, la pericolosità deve essere accertata in concreto dal giudice.

Infatti, nonostante la norma in esame presuma l'abitualità nel commettere reati nei confronti di chi, dopo essere stato condannato ad una pena superiore nel complesso a cinque anni per tre delitti non colposi della stessa indole commessi nell'arco di dieci anni, commetta un altro delitto non colposo della stessa indole, la presunzione di pericolosità è relativa, nel senso che il giudice deve valutarne la sussistenza in concreto.

L'abitualità nel delitto, anche se presuppone la recidiva, non è a questa assimilabile, giacché essa non realizza una circostanza aggravante del reato, ma un particolare status del reo, che, non influendo sulla quantificazione della pena, mira ad evidenziare la pericolosità del soggetto e, quindi, giustificare l'applicazione di misure di sicurezza.

Massime relative all'art. 102 Codice Penale

Cass. pen. n. 13463/2019

La professionalità nel reato non può essere presunta sulla base delle condanne anteriori, ma può essere attribuita solo quando risulti che l'imputato, che si trovi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, tragga fonte pressoché costante di guadagno dalla reiterazione delle sue azioni criminose.

Cass. pen. n. 49976/2018

La declaratoria di abitualità nel delitto, da cui deriva l'applicazione o la prosecuzione di una misura di sicurezza, richiede la contemporanea sussistenza tanto dei presupposti indicati dall'art. 102 cod. pen. quanto della attuale e concreta pericolosità sociale del soggetto, ai sensi degli artt. 133 e 203 dello stesso codice.

Cass. pen. n. 2698/2011

La dichiarazione di delinquenza abituale, a cui segue l'applicazione di misure di sicurezza, può intervenire anche in riferimento ad un soggetto che si trovi in stato di espiazione della pena detentiva, dovendo distinguersi tra il momento deliberativo e il momento di esecuzione della misura di sicurezza, a nulla rilevando che sia lontano nel tempo dato che il giudizio di pericolosità è sempre rivalutabile.

Cass. pen. n. 27994/2004

In tema di delinquenza abituale, ancorché trattisi di quella presunta dalla legge, ai sensi dell'art. 102 c.p., è da escludere che la relativa declaratoria possa essere pronunciata con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, prevista dall'art. 444 c.p.p., non potendosi, nella procedura di patteggiamento, verificare che il reato oggetto di detta pronuncia, non implicante la certezza della responsabilità dell'imputato, sia della stessa indole dei precedenti.

Cass. pen. n. 267/2004

La revoca della dichiarazione di abitualità nel delitto è inscindibile dalla valutazione di attuale applicabilità - o prosecuzione - di una misura di sicurezza, giacché l'abitualità è un aspetto della pericolosità del soggetto, a sua volta presupposto della misura di sicurezza, e la relativa valutazione va effettuata, in termini di attualità, quando la misura debba essere in concreto applicata. Ne consegue che, poiché nel concorso di pena detentiva e di misura di sicurezza, quest'ultima si applica dopo l'esecuzione o l'estinzione della prima, il «lontano fine pena» costituisce di diritto condizione ostativa ad un riesame anticipato della permanenza o meno dell'abitualità.

Cass. pen. n. 10302/1996

In tema di contrabbando, la declaratoria di abitualità è regolata dall'art. 297 D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, con una disciplina che presenta particolarità strutturali rispetto a quella fissata, in via generale, dagli artt. 102 e 103 c.p. Tale particolare disciplina pone una presunzione ex lege che vincola la discrezionalità del giudice, per cui questi, una volta verificata l'effettiva sussistenza della condizione di recidiva specifica normativamente stabilita, ha l'obbligo della dichiarazione ed è privato del potere di effettuare qualsiasi valutazione in ordine alla personalità dell'imputato ed alla gravità delle violazioni precedentemente commesse.

Cass. pen. n. 1015/1994

La dichiarazione di delinquente abituale concerne una condizione personale del reo, come tale, non vietata, nell'ambito del rito di cui all'art. 444 e seguenti c.p.p., dall'art. 445 dello stesso codice, che fa divieto al giudice di applicare pene accessorie e misure di sicurezza (ad eccezione della confisca obbligatoria).

Cass. pen. n. 1917/1992

Poiché, nel regime introdotto dagli artt. 21 e 31 della L. 10 ottobre 1986 n. 663, recante modifiche all'ordinamento penitenziario, la dichiarazione di abitualità nel delitto presunta dalla legge richiede la contemporanea sussistenza tanto dei presupposti indicati dall'art. 102 c.p. quanto della attuale e concreta pericolosità sociale del soggetto, ai sensi degli artt. 133 e 203 dello stesso codice, non soddisfa il correlativo obbligo di motivazione la pronuncia del tribunale di sorveglianza che, nel dichiarare taluno delinquente abituale, si limiti, sull'apodittica presupposizione delle condizioni di cui al citato art. 102 c.p., a richiamarsi, per quanto attiene il requisito della attuale pericolosità del soggetto (pur essendo questo dedito da tempo a stabile attività lavorativa), ai «numerosi e gravi precedenti penali» del medesimo, non esprimendosi in tal modo alcun valido giudizio critico in ordine alla probabilità o meno della futura commissione di nuovi reati

Cass. pen. n. 12760/1989

Ai fini della dichiarazione di abitualità nel reato presunta dalla legge, la individuazione dei reati della medesima indole deve affidarsi al criterio del movente dell'azione criminosa.

Cass. pen. n. 1683/1989

Dopo l'entrata in vigore della L. 10 ottobre 1986 n. 663, recante modifiche all'ordinamento penitenziario, la declaratoria di abitualità nel delitto presunta dalla legge e che non ha natura costitutiva, ma semplicemente ricognitiva di uno status già esistente nel momento in cui erano maturate le condizioni previste dall'art. 102 c.p. — non è consentito ove non sussista una attuale e concreta pericolosità sociale.

Cass. pen. n. 10/1987

Il giudice chiamato a pronunciarsi sull'applicabilità dell'indulto non può sospendere la decisione in attesa che l'autorità giudiziaria competente si pronunci su una dichiarazione di abitualità nel delitto ai sensi dell'art. 102 c.p. che renderebbe non più concedibile il beneficio, ma è tenuto ad accertare incidentalmente se sussistano nell'interessato le condiciones iuris dell'abitualità.

Cass. pen. n. 6749/1986

In tema di dichiarazione di abitualità, l'espressione usata dall'art. 102 cod. pen. «tre delitti non colposi» non indica un numero fisso, ossia non maggiore né minore di tre, ma un numero minimo, cioè uguale o maggiore di tre.

Cass. pen. n. 9053/1985

La dichiarazione di abitualità a delinquere, tanto nell'ipotesi dell'art. 102 c.p., quanto in quella del successivo art. 103, ha natura dichiarativa e non costitutiva e quindi è ostativa all'applicazione dell'amnistia e dell'indulto anche se pronunciata dopo l'emanazione del decreto di clemenza purché i reati e le altre condiciones iuris che sono assunti come elementi sintomatici della qualificata pericolosità sociale del soggetto, siano anteriori al decreto clemenziale che esclude il beneficio per i soggetti colpiti da tale declaratoria.

Cass. pen. n. 2036/1985

Ai fini della declaratoria di delinquenza abituale, la norma, nel prevedere la pronuncia nei confronti di colui che, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi della stessa indole, riporti altra condanna, non fissa un limite numerico tassativo di condanne, ma un limite minimo (cioè tre o più delitti).

Cass. pen. n. 6264/1985

Il concetto di abitualità non attiene al reato ma al reo. Pertanto un eventuale precedente giudicato non rende applicabile il principio della preclusione processuale (ne bis in idem), poiché l'art. 90 c.p.p. limita tale preclusione all'assoluta identità del fatto precedentemente giudicato.

Cass. pen. n. 5574/1984

Per la determinazione del termine di dieci anni entro cui debbono essere commessi i tre delitti non colposi e della stessa indole richiesti dall'art. 102 c.p. ai fini della declaratoria di delinquente abituale in caso di abitualità presunta dalla legge è irrilevante la data delle relative sentenze di condanna, in quanto deve aversi riguardo alle date di perpetrazione dei reati e non alle date delle sentenze.

Cass. pen. n. 512/1984

In tema di abitualità prevista dalla legge, l'autonomia della disciplina della stessa per quanto riguarda il contrabbando e relativa alle condizioni necessarie per la sua dichiarazione, attiene unicamente al termine finale, che viene rimosso e non anche alla condizione del passaggio in giudicato della sentenza o delle sentenze di condanna concernenti i delitti precedenti.

L'abitualità presunta dalla legge può essere dichiarata nei confronti di colui che, dopo aver riportato condanna alla reclusione in misura superiore complessivamente a 5 anni per almeno tre delitti non colposi della stessa indole, commessi entro 10 anni e non contestualmente, subisca altra condanna per delitto non colposo della stessa indole entro 10 anni dall'ultimo dei delitti precedenti e successivamente all'ultima condanna. Il nuovo delitto deve essere, cioè, commesso in data posteriore al passaggio in giudicato della pronuncia dell'ultima condanna concernente precedenti delitti ed in epoca non successiva al termine di 10 anni dalla data di commissione dell'ultimo dei precedenti delitti.

Cass. pen. n. 295/1984

Dal testo dell'art. 102 c.p. si ricava che la pericolosità si manifesta con la consumazione del reato e non già con il suo accertamento legale, in quanto il legislatore ha voluto condizionare la dichiarazione di abitualità presunta alla frequenza di un particolare delitto di un dato momento storico e non già alla definitività della condanna. Ognuna delle condizioni previste dall'art. 102 c.p. si compone di vari elementi che ruotano intorno a quello centrale, costituito dalla consumazione del delitto, in quanto questa e solo questa rivela la pericolosità del soggetto. Deve trattarsi cioè, di un delitto qualificato commesso in uno spazio di tempo ben preciso, per il quale venga riportata una condanna irrevocabile in misura già qualificata dalla legge solo nella prima condizione ivi presunta; e non anche del delitto commesso entro i dieci anni successivi all'ultimo precedente, ma anche dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza di condanna. In tema di dichiarazione di delinquente abituale la seconda condizione richiesta dalla legge al primo comma dell'art. 102 c.p. si verifica solo con la consumazione di un nuovo delitto non colposo, della stessa indole, commesso entro i dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti, accertata la definitività di tutte le relative sentenze di condanna, non essendo necessaria che la consumazione del nuovo delitto sia anche posteriore al passaggio in giudicato della sentenza per l'ultimo dei precedenti delitti.

Cass. pen. n. 523/1982

Il giudice di merito non è tenuto a specifica motivazione nel dichiarare l'abitualità presunta dalla legge, essendo all'uopo sufficiente che egli accerti la sussistenza dei presupposti stabiliti dalla norma.

Cass. pen. n. 10116/1980

L'abitualità presunta per legge non consente al giudice la possibilità di tenere conto delle motivazioni e dei significati assunti in concreto dalla condotta criminosa. Per la sua sussistenza infatti, basta che si verifichi la condizione che l'imputato, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi della stessa indole, commessi entro dieci anni, riporti condanna per un delitto non colposo della stessa indole.

Cass. pen. n. 2649/1980

Poiché l'essenza dell'abitualità ritenuta dal giudice sta nell'essere il reo dedito al delitto, al fine della relativa dichiarazione l'omogeneità della natura dei reati commessi costituisce un elemento decisivo per la dichiarazione di abitualità, unitamente alla reiterazione delle condotte criminose a distanza ravvicinata.

Cass. pen. n. 9002/1980

La nuova condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, richiesta dall'art. 102 c.p. perché, in presenza delle condizioni soggettive ivi enunciate, debba farsi luogo al giudizio di abitualità può anche consistere in una condanna alla sola pena della multa.

Cass. pen. n. 5129/1980

L'abitualità nel delitto, anche se presuppone la recidiva, non è a questa assimilabile, giacché essa non realizza una circostanza aggravante del reato, ma un particolare status del reo, che, non influendo sulla quantificazione della pena, mira ad evidenziare la pericolosità del soggetto e, quindi, giustifica l'applicazione della misura di sicurezza.

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Utente S. chiede
martedì 02/08/2022 - Lazio
“Buongiorno,
sto approfondendo alcuni argomenti di natura giurisprudenziale e vorrei gentilmente avere alcuni chiarimenti.?Avrei due domande.

1)?Al fine agli articoli 102 e 103 cp (Abitualità presunta dalla legge e Abitualità ritenuta dal giudice), i diversi delitti effettuati nel tempo e legati da un unico disegno criminoso (quindi ritenuti reato continuato), vengono conteggiati come un singolo unico reato?

2)
In tema di prescrizione, invece, gli articolo articoli 102 e 103 cp incidono sugli effetti dell’interruzione della prescrizione, raddoppiando i tempi utili a prescrivere.
Nel concorso materiale di reati e nel reato continuato, come funziona la cosa?
In entrambi i casi, se ho ben capito, i reati si prescriverebbero singolarmente.

Ammettiamo che in un unico processo vegano analizza ti 6 diversi presunti reati, di cui 2 già prescritti.
I restanti 4, se accertati in via definitiva, farebbero scattare le disposizioni degli articoli 102 e 103 cp.
In questo caso, il raddoppio dei tempi dell’interruzione della prescrizione, sarebbe calcolato anche per i 2 reati già prescritti?

Come viene calcolato tale raddoppio del tempo nei casi in cui, con un unico processo, vengano processati più reati?
La prescrizione interviene nei classici tempi (con interruzione della durata massima di un quarto del tempo necessario a prescrivere) anche per quei reati che risultino già prescritti? O il raddoppio interviene anche su di loro?

Grazie.”
Consulenza legale i 29/08/2022
Per rispondere al parere, occorre innanzi tutto avere chiari gli effetti del medesimo disegno criminoso e delle ipotesi di concorso formale e materiale sulla natura del reato.

Come noto, si tratta di istituti giuridici che vengono applicati solo laddove il soggetto violi una o più disposizioni di legge oppure la medesima disposizione mediante una sola azione (concorso formale) o più azioni (concorso materiale).

E’ rilevante comprendere se si versa nell’una o nell’altra ipotesi giacché:
- Il concorso materiale impone l’applicazione del cumulo delle pene previste per ogni singola violazione (cumulo materiale);
- Il concorso formale, invece, impone l’applicazione della pena prevista per il reato più grave, aumentata sino al triplo (cumulo giuridico).

Alla regola del cumulo materiale si fa eccezione laddove la condotta del soggetto sia avvinta dal medesimo disegno criminoso. In tal caso, invero, pur essendoci più atti e diverse violazioni, il cumulo materiale non si applica lasciando il posto al cumulo giuridico.
L’applicazione del medesimo disegno criminoso, dunque, è una sorta di fictio iuris che consente al reo di beneficiare di un trattamento sanzionatorio meno rigido di quello susseguente al cumulo materiale di tutte le pene previste per ogni singola violazione.

Ciò detto, occorre capire se quella che sembra essere l’unificazione di tutti i reati commessi in uno solo è sempre valida oppure se tale unificazione valga solo a determinate condizioni.
Orbene, nonostante le iniziali incertezze dottrinali e giurisprudenziali, è, ad oggi, opinione condivisa che, nel caso di medesimo disegno criminoso, l’insieme dei reati commessi vada considerato come un unico reato solo allorché tale operazione abbia un effetto concretamente favorevole per il reo.

Dunque, così come ai fini della pena le fattispecie commesse nel medesimo disegno criminoso si considerano come un solo reato per il chiaro effetto favorevole del cumulo giuridico, lo stesso valga per le dichiarazioni di abitualità nel reato. Anche in questo caso, infatti, la considerazione unitaria dei reati avvinti dal vincolo della continuazione torna a favore dell’agente giacché la condanna pronunciata per il reato continuato viene ritenuta un’unica condanna.

Per le stesse ragioni, a conclusioni diametralmente opposte si perviene in ordine alla prescrizione. In questo caso, invero, ciascun reato conserva la sua autonomia e la prescrizione andrà calcolata separatamente per ognuno di essi.

Stando così le cose, è chiaro che se un determinato processo viene celebrato per più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, la loro riduzione a uno non potrà mai portare alla dichiarazione di abitualità di cui all’ art. 102 del c.p. e all’ art. 103 del c.p..

Fermo restando quanto su detto, va chiarito che l’ulteriore quesito posto in relazione all’abitualità nel caso di concorso materiale e formale è del tutto mal posto.
Ai fini dell’applicazione degli articoli 102 e 103 c.p., infatti, occorre che il soggetto sia stato già condannato in via definitiva per fatti precedenti essendo, questo, il principale presupposto applicativo della disciplina dell’abitualità.
Se, dunque, un soggetto è imputato per più fatti nel medesimo processo, è allora chiaro che il giudice non potrà mai, una volta emessa condanna per un capo, applicare l’abitualità agli altri capi così aumentando i termini di prescrizione.
Tale operazione, invero, oltre a dare adito a iniquità di rilievo susseguenti alle modalità di “scelta” del reato presupponente la dichiarazione di abitualità, non sarebbe consentita dal dettato normativo che, come anzidetto, richiede che il soggetto sia già stato condannato in via definitiva per fatti pregressi.

In ogni caso, l’effetto dell’abitualità sulla prescrizione si dispiegherebbe per ciascun capo d’imputazione del processo in cui è contestata e, dunque, ciascun reato subirebbe gli aumenti previsti dalla legge.