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Articolo 2106 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Sanzioni disciplinari

Dispositivo dell'art. 2106 Codice Civile

L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari(1), secondo la gravità dell'infrazione [e in conformità delle norme corporative](2).

Note

(1) La sanzione è irrogabile purché vi sia sussistenza ed imputabilità del fatto e adeguatezza della sanzione, ovvero proporzionalità tra infrazione e sanzione.
(2) Le norme corporative sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D. Lgs. 23 novembre 1944, n. 369.

Ratio Legis

Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell'illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell'impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica tutelato dall'art. 41 Cost., ciò nonostante a norma dell'art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300 la sanzione disciplinare è irrogabile a condizione che vengano preventivamente contestati gli addebiti al lavoratore in modo che possa esporre le proprie difese.

Massime relative all'art. 2106 Codice Civile

Cass. civ. n. 6823/2994

In tema di licenziamento individuale per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudizio sulla proporzionalità o adeguatezza tra fatto addebitato e sanzione è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la decisione di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un avvocato interno all'ufficio legale di un'azienda al quale era stato addebitato di aver trattenuto, oltre all'importo delle proprie competenze, la somma capitale di £ 722.000, rimessagli nel giugno 1986 dal legale di un debitore dell'azienda).

Cass. civ. n. 11540/2020

In tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell'ipotesi di modifica dell'elemento soggettivo dell'illecito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 27/04/2018).

Cass. civ. n. 10688/2017

In tema di licenziamenti per motivi disciplinari, non lede il principio di immediatezza, di cui all'art. 7 della l. n. 300 del 1970, il datore di lavoro che, prima di procedere alla contestazione disciplinare nei confronti del lavoratore disponga indagini ispettive per meglio approfondire le responsabilità di quest'ultimo, quando ne abbia, quali elementi conoscitivi, soltanto la confessione, essendo la stessa potenzialmente revocabile ex art. 2732 c.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA, 05/11/2013).

Cass. civ. n. 15986/2016

In caso di licenziamento disciplinare, il datore di lavoro non è obbligato ad indicare i motivi di cui all'art. 2 della l. n. 604 del 1966, "ratione temporis" vigente, ove i fatti siano stati già portati a conoscenza del dipendente in occasione della contestazione disciplinare determinante la risoluzione del rapporto, fermo restando che qualora il lavoratore reputi tale indicazione insufficiente, un dovere di ulteriore specificazione è ipotizzabile solo all'interno del procedimento che si apre con la contestazione. (Rigetta, App. Brescia, 25/06/2013).

Cass. civ. n. 11868/2016

In tema di licenziamento disciplinare, il principio della immutabilità della contestazione non impedisce al datore di lavoro, nei casi di sospensione del procedimento disciplinare per la contestuale pendenza del processo penale relativo ai medesimi fatti, di utilizzare, all'atto della riattivazione del procedimento, gli accertamenti compiuti in sede penale per circoscrivere meglio l'addebito, sempre nell'ambito di quello originario, e purché al lavoratore, nel rispetto del diritto di difesa, sia consentito di replicare alle accuse così precisate. (Cassa con rinvio, App. Roma, 17/12/2014).

Cass. civ. n. 23140/2015

Il termine di cinque giorni dalla contestazione dell'addebito di cui all'art. 7, comma 5, st.lav., non ha per il lavoratore natura decadenziale della facoltà di richiedere l'audizione a difesa, sicché è illegittima la sanzione disciplinare che sia stata comminata ignorando la richiesta presentata oltre detto termine ma prima dell'adozione del provvedimento disciplinare. (Rigetta, App. Firenze, 26/05/2009).

Cass. civ. n. 26741/2014

La previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva, in relazione a precedenti mancanze, come ipotesi di licenziamento non esclude il potere-dovere del giudice di valutare la gravità dell'addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva, ai sensi degli artt. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, 2119 cod. civ. e 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. (Rigetta, App. Milano, 20/09/2011).

Cass. civ. n. 15444/2014

Gli effetti della sospensione cautelare dal servizio permangono fino all'esito del procedimento penale o disciplinare, il cui esito favorevole condiziona il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte. Ne consegue che, qualora il rapporto di lavoro sia risolto per dimissioni del lavoratore, intervenute prima della conclusione in senso a lui favorevole del procedimento penale e senza che sia mai stato instaurato il procedimento disciplinare, al lavoratore competono tutte le retribuzioni per il periodo di sospensione cautelare, dovendosi ritenere la misura, avente carattere provvisorio, caducata e non potendo, per contro, un atto volontario del prestatore di lavoro, di carattere non disciplinare, assumere valenza retroattiva ai fini dell'interruzione del rapporto.

Cass. civ. n. 6501/2013

In materia disciplinare, poiché gli artt. 240 e 333 cod. proc. pen. riguardano esclusivamente la materia penale, nessuna norma di legge vieta che l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell'illecito, né un simile divieto può desumersi dal generale principio di correttezza e buona fede, che costituisce un metro di valutazione dell'adempimento degli obblighi contrattuali e non anche una loro autonoma fonte. (Cassa con rinvio, App. Napoli, 29/12/2008).

Cass. civ. n. 10547/2007

Nel caso di irrogazione di licenziamento per giusta causa conseguente all'espletamento di procedimento disciplinare, ai fini della valutazione della tempestività della sanzione espulsiva, deve distinguersi tra la contestazione disciplinare, che deve avvenire a ridosso dell'infrazione o del momento in cui il datore ne abbia notizia, e l'irrogazione della sanzione disciplinare, che può avvenire anche a distanza di tempo, ma pur sempre nel rispetto del principio della buona fede, che è matrice fondativa dei doveri sanciti dall'articolo 7 dello statuto dei lavoratori e dall'art. 2106 del codice civile in materia di esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro (Nel caso di specie la Corte ha rigettato il ricorso, proposto per violazione del principio dell'immediatezza della sanzione irrogata rispetto al comportamento censurato, contro una sentenza di merito che aveva ritenuto tempestivo il licenziamento disciplinare di un medico da parte di un'Azienda Ospedaliera dopo il lasso di tempo occorso per acquisire il parere del Comitato dei garanti, atteso che il parere stesso era imposto da una specifica norma della contrattazione collettiva e che l'adempimento a tale disposizione era prova dell'osservanza da parte del datore del principio della buona fede contrattuale).

Cass. civ. n. 19169/2006

La sospensione cautelare dal servizio del lavoratore sottoposto a procedimento penale non ha natura disciplinare ma cautelare, essendo una misura provvisoria finalizzata ad impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa tradursi in un pregiudizio dell'immagine e del prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Pertanto nel caso in cui il procedimento penale instaurato nei confronti del pubblico dipendente si concluda con formula non assolutoria e la sanzione disciplinare non assorba il periodo di sospensione cautelare patita, all'impiegato spetta la "restitutio in integrum" per il periodo di sospensione cautelare sofferta in eccedenza, con deduzione dei periodi di tempo corrispondenti all'irrogata pena detentiva inflitta. (Nella specie, relativa a dipendente ex AIMA sospesa cautelarmente dal servizio per cinque anni e raggiunta, dopo aver patteggiato la condanna ad un anno e quattro mesi di reclusione, dalla sanzione disciplinare definitiva della sospensione dal servizio per mesi sei, la S.C. ha cassato per vizi di motivazione la sentenza di merito che aveva ordinato la corresponsione delle retribuzioni non versate anche per il periodo corrispondente alla sospensione disciplinare inflitta dopo la condanna). (Cassa con rinvio, App. Roma, 19 Gennaio 2005).

Cass. civ. n. 8679/2006

In tema di sanzioni disciplinari il fondamentale principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della infrazione deve essere rispettato sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore di lavoro nell'esercizio del suo potere disciplinare, sia in sede di controllo che, della legittimità e della congruità della sanzione applicata, il giudice sia chiamato a fare. A tal riguardo, ha carattere indispensabile la valutazione, ad opera del giudice del merito, investito del giudizio circa la legittimità di tali provvedimenti, della sussistenza o meno del rapporto di proporzionalità tra l'infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli. Ai fini di tale valutazione il giudice deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore in quanto anche esse incidono sulla determinazione della gravità della trasgressione e, quindi, della legittimità della sanzione stessa. L'apprezzamento di merito della proporzionalità tra infrazione e sanzione sfugge, peraltro, a censure in sede di legittimità se la valutazione del giudice di merito è sorretta da adeguata e logica motivazione. (Rigetta, App. Roma, 26 Novembre 2003).

Cass. civ. n. 10201/2004

In tema di sanzioni disciplinari di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, deve distinguersi tra illeciti relativi alla violazione di prescrizioni attinenti all'organizzazione aziendale e ai modi di produzione, conoscibili solamente in quanto espressamente previste, ed illeciti concernenti comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell'impresa per i quali non è invece richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare, che è pertanto sufficiente sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazione, sia pure dandone una nozione schematica e non dettagliata, e da indicare le correlative previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze. (Nell'affermare il suindicato principio, la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza dei ricorrenti - in ordine al mancato accoglimento, da parte del giudice di merito, dell'impugnazione del provvedimento disciplinare di sospensione, per un giorno, dal lavoro adottato nei loro confronti per avere essi, durante un'agitazione sindacale, attuato un "picchettaggio" all'esterno dell'ufficio impedendo ai colleghi non scioperanti di prendere servizio - basata sul rilievo che il datore di lavoro non aveva nel caso portato a conoscenza dei lavoratori, in luogo accessibile a tutti, le disposizioni concernenti le sanzioni disciplinari e le relative procedure - cosiddette "codice disciplinare" -).

Cass. civ. n. 7691/2004

La permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo costituisce non già un onere bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l'assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento sia nei confronti dell'istituto previdenziale (sanzionato dalla perdita dell'indennità), sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e perciò a controllare l'effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione. Ne consegue che l'assenza priva di valida giustificazione del lavoratore dal proprio domicilio si configura come l'inadempimento dell'obbligo di collaborazione inteso in senso ampio, per la cui sanzionabilità non è necessaria una specifica previsione nel codice disciplinare, essendo sufficiente il mero riferimento alla violazione - non grave - degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro stabiliti direttamente dalla legge.

Cass. civ. n. 7009/2004

Nell'ipotesi di Cassazione della sentenza in tema di licenziamento disciplinare per vizi di motivazione relativi alla valutazione complessiva della proporzionalità tra il licenziamento e la condotta del lavoratore, il giudice del rinvio ha il potere di procedere ad una nuova valutazione complessiva dei fatti già acquisiti per desumerne non solo la loro illiceità in senso oggettivo e generale, non più in discussione, ma anche la intensità dell'elemento psicologico del lavoratore nella sequenza dei singoli comportamenti, onde verificare l'idoneità di questi ultimi a ledere la fiducia riposta nel dipendente dal datore di lavoro in modo così grave da esigere l'applicazione di una sanzione non minore di quella massima. (Nella specie, con riferimento al licenziamento di un funzionario di banca, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale il giudice del rinvio era pervenuto ad una valutazione complessiva degli elementi fattuali acquisiti al processo, quali l'incapacità del ravvedimento come elemento prognostico di una tendenza alla reiterazione degli illeciti, l'irrilevanza del consenso del cliente nel compimento di irregolarità della gestione aziendale, la gravità del falso, ancorché innocuo, la disponibilità del lavoratore ad effettuare violazioni, considerandoli comportamenti lesivi di elementari doveri di correttezza e trasparenza, avvertiti dalla coscienza sociale come incompatibili con l'esercizio di funzioni per le quali è richiesta, in considerazione della loro delicatezza e della posizione apicale del dipendente, l'osservanza della stretta legalità).

Cass. civ. n. 5013/2004

In tema di licenziamento disposto per motivi disciplinari, l'accertamento dei fatti contestati al lavoratore, il giudizio in ordine alla loro gravità e alla proporzione del licenziamento rispetto ad essi, nonché la riconducibilità di detti fatti alle pattuizioni del C.C.N.L. di diritto comune prevedente le fattispecie che giustificano l'irrogazione della più grave sanzione disciplinare, sono riservati all'apprezzamento del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione ovvero, in riferimento alle pattuizioni collettive, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che la condotta addebitata al lavoratore, addetto alla sorveglianza notturna dello stabilimento e all'apertura mattutina dei cancelli, consistente nell'essersi volontariamente addormentato durante il servizio, non fosse riconducibile alla previsione del contratto collettivo applicabile, secondo il quale la condotta dell'operaio trovato addormentato sul luogo di lavoro era sanzionabile al massimo con la sola sospensione, e che integrasse comunque un grave inadempimento dei doveri nascenti dal rapporto di lavoro, tale da giustificare il recesso del datore di lavoro).

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Consulenze legali
relative all'articolo 2106 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Francesco P. chiede
venerdì 10/05/2019 - Sardegna
“Sto per ricevere una sanzione disciplinare di 5 giorni di sospensione dal servizio senza retribuzione. Andrò in pensione il 31 ottobre prossimo e pertanto l'effetto di questa sanzione si ripercuoterà anche sul la buonuscita o TFS e sul calcolo della pensione e sul suo beneficiare, di quest'ultima, vita natural durante.
Posso, al fine di evitare detti riflessi che risulterebbero di aggravio per tutta la vita pensionistica, versare con bonifico o con altro mezzo autonomo l'ammontare del dovuto che la mia amministrazione (pubblica) determinerà all'atto della irrogazione della sanzione disciplinare?”
Consulenza legale i 22/05/2019
Preliminarmente è d’uopo mettere in evidenza la sostanziale differenza tra la sospensione cautelare del rapporto di lavoro dalla sospensione disciplinare.
La prima è una misura volta a sospendere il servizio lavorativo contemporaneamente alla contestazione disciplinare di un'infrazione a carico di un lavoratore.
La seconda, invece, consiste in una sanzione disciplinare che il datore di lavoro applica al termine del procedimento disciplinare.

Ciò evidenziato è d’uopo osservare che in entrambi i casi vi è una sospensione del sinallagma contrattuale relativo al rapporto di lavoro. In buona sostanza, il lavoratore vede sospesa la propria obbligazione di prestare la propria attività lavorativa e il datore di lavoro vede sospesa le proprie obbligazioni retributive, contributive ed assicurative.

Orbene, il Decreto Legislativo n. 564/1996 all’art. 5 prevede espressamente, nelle ipotesi di periodi di interruzione o sospensione del rapporto di lavoro che, i periodi, successivi al 31 Dicembre 1996, di interruzione o sospensione del rapporto di lavoro previsti da specifiche disposizioni di legge o contrattuali e privi di copertura assicurativa, possono essere riscattati, nella misura massima di tre anni, a domanda, mediante il versamento della riserva matematica secondo le modalità di cui all'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni ed integrazioni. Inoltre, per gli stessi periodi, i lavoratori di cui sopra possono essere autorizzati, in alternativa, alla prosecuzione volontaria del versamento dei contributi nel fondo pensionistico di appartenenza ai sensi della legge 18 febbraio 1983, n. 47.

La domanda di contributi volontari va inoltrata in forma telematica all’Inps, se si possiedono le credenziali di accesso (pin dispositivo, Spid, carta nazionale dei servizi), oppure tramite patronato, secondo il form di domanda predisposto.

Sul sito internet dell’INPS sono esplicate le modalità e tempistiche per il versamento dei suddetti contributi, che possono essere pagati accedendo al servizio “Versamenti volontari” del Portale dei pagamenti INPS, con una delle seguenti modalità:
• MAV inviato dall’INPS per posta oppure generato dall’utente. Il bollettino può essere visualizzato, modificato, stampato e pagato in un qualsiasi istituto di credito senza commissioni oppure presso gli uffici postali con l’applicazione della commissione di versamento;
• Online, tramite la modalità “Pagamento immediato pagoPA”, che permette di versare i contributi utilizzando la carta di credito, di debito o prepagata oppure mediante addebito in conto;
• Avviso di pagamento pagoPA, che permette di versare i contributi presso qualsiasi Prestatore di Servizi di Pagamento (PSP) aderente al circuito “ pagoPA”.

In alternativa è possibile versare i contributi presso le tabaccherie che espongono il logo “Servizi INPS”, aderenti al circuito “Reti Amiche” tramite Lottomatica, fornendo il proprio codice fiscale e il codice autorizzazione/prosecutore.

Rita C. chiede
sabato 25/02/2017 - Abruzzo
“Mi rivolgo a Lei confidando la sua esperienza nel settore disciplinare del pubblico impiego
mi chiamo Rita C. Funzionario dipendente dell Agenzia delle Entrate di P.
con 42 anni di servizio e prossima al pensionamento previsto per settembre 2018
Detto questo il 29 Novembre 2016 sono stata sottoposta a indagine AUDIT per accessi effettuati
nel 2015.
Agli accessi sono stata autorizzata e abilitata alla selezione , dal luglio 2014, per la scelta dei contribuenti da sottoporre a controllo
in particolar modo nel settore del Redditometro
Era logico che con tale autorizzazione avessi effettuato molti accessi con proficuo risultato
I funzionari mi hanno sottoposto i nominativi in due elenchi separati
nel primo (allegato n. 1) c erano quelli ritenuti connessi all attività istituzionale
Nel secondo elenco (allegato 2) vi erano soggetti ritenuti non connessi alla
attività istituzionale, in particolare si sono soffermati su :
Un bar gelateria che ho giustificato aver fatto l accesso per ricerca del recapito
un professionista che ho giustificato per un controllo versamento su richiesta dell interessato
e una collega che ho giustificato per essere stata presente nella lista del redditometro per una spesa effettuata
I funzionari si sono soffermati soprattutto su quest ultima con tono inquisitorio hanno incominciato
a chiedermi perché non avessi fatto un invito alla collega, ipotizzando un danno all'erario
mi sono sentita colpevolizzata ingiustamente ed emozionalmente distrutta
Tra l altro non mi hanno avvisata che potevo farmi assistere
ho firmato il verbale e dopo qualche giorno il 01 dicembre 2016 ho inviato una memoria scritta
giustificando l archiviazione della collega anche se secondo il mio parere erano andati oltre
l incarico da loro ricevuto che era attinente alla giustificazione degli accessi.
pensavo fosse finita così , quando il 3 Febbraio 2017 mi vedo notificare una comunicazione disciplinare
con la quale mi si incolpa di aver fatto numerosi accessi
che a parte il bar gelateria, hanno effettuato ulteriori indagini sul professionista
dicendo che non ho detto il vero e di aver trovato 13 soggetti riconducibili allo stesso -
io non ero a conoscenza di questa ulteriore indagine e chi sono questi soggetti
e di avermi convocata per il 10 Marzo presso la Direzione Regionale di......
Su suggerimento del Sindacato Alfa al quale sono iscritta ho chiesto in data 10 Febbraio l'accesso agli atti
perché non so chi sono questi 13 soggetti
e per avere il diritto di difendermi. a tutt'oggi non ho ricevuto risposta
Voglio precisare che gli accessi sono stati fatti a video senza trasmissione di atti all'esterno
senza profitto. non ritengo di essere colpevole di abuso di ufficio
Le chiedo la cortesia di fornirmi la sua consulenza al riguardo
e se ci sono possibilità di evitare il penale.”
Consulenza legale i 05/03/2017
La disciplina legale in materia di potere disciplinare nel pubblico impiego è quella dell’art. 2106 del codice civile, in parte dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, nonché degli artt. da 54 a 55 septies del D.Lgs. 165 del 2001.
A tale normativa va aggiunto, per quello che qui ci interessa, il necessario riferimento al codice di comportamento dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, approvato con provvedimento 16 settembre 2015 del direttore Rossella Orlandi.
Si tratta di un codice che tende ad esaltare perfino gli aspetti morali del dipendente: ad esempio, nell’articolo 2 sui “principi generali”, assumono valenza di doveri minimi per il dipendente l’improntare il proprio comportamento al rispetto dei principi etici universalmente riconosciuti e il collaborare attivamente alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenzia.

Il codice di comportamento, come è ovvio che sia, regola l’attività lavorativa all’interno dell’Agenzia, individuando le condotte che il dipendente deve tenere o deve evitare in tale ambito.
Particolare attenzione viene dedicata all’utilizzo dei sistemi informatici; la delicatezza dei dati a disposizione dell’Agenzia, spesso personali ma frequentemente anche sensibili, hanno infatti imposto la previsione di uno specifico articolo, proprio destinato a essi.

Da questa disposizione ne discende che:
  • è sempre necessaria l’autorizzazione per l’utilizzo di tali strumenti ed è vietata l’effettuazione di download di programmi o di file di provenienza esterna sul computer dato in uso dall’Agenzia, se non inerenti l’attività d’ufficio;
  • non si possono detenere o utilizzare abusivamente codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso a un sistema informatico o telematico;
  • parallelamente, non si possono trasferire all’esterno o trasmettere file o documenti riservati se non per finalità strettamente attinenti alle proprie mansioni e in ogni caso è necessaria la previa autorizzazione del responsabile dell’ufficio.

In altri termini, costituisce principio generale quello secondo cui informazioni, applicazioni e apparecchiature devono essere utilizzati esclusivamente per motivi di ufficio, evitando che tali beni siano prestati o ceduti a terzi senza autorizzazione preventiva del responsabile dell’ufficio.

Particolare attenzione è rivolta alla riservatezza e ai rapporti con i mezzi di informazione.
Oltre al doveroso rispetto del segreto d’ufficio, il dipendente deve mantenere riservate le notizie e le informazioni apprese nell’esercizio delle proprie funzioni. Coerentemente, il dipendente consulta i soli fascicoli direttamente collegati alla sua attività e ne fa uso conforme ai doveri d’ufficio, consentendone perciò l’accesso solo a coloro che ne abbiano titolo, conformemente alle prescrizioni dell’ufficio, con la precisazione ulteriore che il divieto di divulgazione all’esterno, salvo specifica autorizzazione, deve riguardare ovviamente anche gli organi di informazione, attenendosi alle direttive impartite in materia dall’Agenzia.

Ora, da quanto detto nel testo del quesito risulta che si era stati espressamente autorizzati e abilitati all’accesso all’anagrafe dei contribuenti per la scelta di quali tra questi sottoporre a controllo nel settore del redditometro, autorizzazione che si ritiene non possa che essere stata data in forma generica e non con specifico riferimento a contribuenti ben determinati.
Tanto si ritiene possa essere in qualche misura sufficiente a giustificare qualunque tipo di accesso e verso qualsiasi nominativo contenuto in anagrafe tributaria, trattandosi di espletamento di attività istituzionale regolarmente ed espressamente autorizzato.

Né può dirsi che nell’espletamento di tale attività, con riferimento ai soggetti contestati, si sia incorsi in violazione della normativa dettata dal codice di comportamento sopra richiamato, in quanto, come prima visto, tale codice:
  1. richiede l’espressa autorizzazione per l’utilizzo degli strumenti informatici a disposizione (autorizzazione sussistente);
  2. vieta la detenzione o utilizzo abusivo di codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso a un sistema informatico o telematico (l’autorizzazione presuppone un uso ed un possesso legittimo dei codici o quant’altro necessario per accedere al sistema informatico);
  3. vieta di trasferire all’esterno o trasmettere file o documenti riservati se non per finalità strettamente attinenti alle proprie mansioni (comportamento questo che, da quanto si legge nel quesito, non risulta contestato).

A questo punto il problema che si pone è quello di far valere le proprie difese nel contradittorio con l’amministrazione procedente, ed a tal fine il richiamo va fatto alla normativa congiunta di cui si è detto all’inizio di questa risposta.
Dall’esame di tale normativa si evince innanzitutto che ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell’addebito al dipendente.
Ricevuta la contestazione disciplinare, è necessario agire con la massima tempestività.

Al fine di poter predisporre idonee giustificazioni (che possono essere rese accompagnati da un rappresentante sindacale o da un legale) sarà opportuno poter visionare la documentazione relativa al procedimento disciplinare o comunque utile per la predisposizione delle difese, e formulare allo scopo istanza di accesso agli atti (il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento ex art. 55 bis, 5° comma D.lgs. 165/2001, e ciò risulta essere stato correttamente fatto).

Su tale tema diverse sono le pronunce della Corte di Cassazione e, tra le altre, merita di essere segnalata la sentenza della Sezione lavoro 27/10/2000, n. 14225, nella quale si afferma esplicitamente che il lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare ha diritto ad accedere agli atti, seppure tale diritto non sia assoluto, bensì contenuto nei limiti del diritto di difesa.
In tal senso si è affermato che la documentazione alla quale il lavoratore soggetto a procedimento disciplinare ha diritto di accedere per poter approntare un’adeguata difesa, in relazione alla contestazione disciplinare mossagli, è esclusivamente quella avente diretta e precisa connessione con gli addebiti oggetto della contestazione, e non altra e diversa documentazione che pure, a giudizio dello stesso lavoratore, potrebbe risultargli utile consultare.
Nel senso espresso dalla Corte di Cassazione può poi argomentarsi anche dalle norme contenute nella legge fondamentale in materia, ossia la Legge n. 241/1990.
In particolare, dall’art 22 comma 1 lett. b) della legge n. 241/90, nel testo novellato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, si ricava che, in tema di legittimazione attiva all’esercizio del diritto di accesso, è richiesta la titolarità di interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.03.2014 n. 1134).
Inoltre, ai sensi dell’art. 24 comma 7, l. n. 241/1990, l’accesso ai documenti amministrativi va garantito, qualora sia funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale (cfr. Cons. St., sez. V, 23 febbraio 2010, n. 1067).

Pertanto, si ritiene che sussista il pieno diritto ad acquisire ogni atto istruttorio relativo agli accessi della cui legittimità si dubita, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui si continui a non avere alcun riscontro a tale legittima richiesta di accesso agli atti, il lavoratore avrà facoltà, ex art. 55 bis D.lgs. 165/2001, di formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa.

Per quanto concerne le preoccupazioni in ordine ad eventuali risvolti penali della vicenda, si ritiene che non vi possano essere grossi margini per la configurabilità del reato di abuso d’ufficio, e ciò prevalentemente in considerazione del fatto che tale reato, nella attuale formulazione dell’art. 323 c.p., si presenta quale reato di evento e non di pura condotta.
Ciò comporta che tale delitto può dirsi integrato solo allorquando l'agente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto, ma nulla di tutto ciò si ritiene che possa rimproverarsi all’autore dell’illecito contestato.