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Articolo 41 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 41 Costituzione

L'iniziativa economica privata è libera [2082 ss. c.c.].

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana [2087 c.c.].(1)

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali(1)(2).

Note

(1) Tale comma è stato introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera a) e b), della L. Cost. 11 febbraio 2022, n. 1. Entrerà in vigore il 09/03/2022.
(2) A livello comunitario è utile richiamare l'attenzione sull'art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che fa riferimento al concetto di "libertà d'impresa". Inoltre, si deve considerare che uno degli obiettivi perseguiti dalle politiche comunitarie è di costruire un mercato interno secondo criteri di stampo marcatamente liberistico (si vedano gli articoli 26 ss. TFUE; 101 ss. TFUE; 107 ss. TFUE), ciò che impone una nuova interpretazione anche della disposizione in esame.

Ratio Legis

Con questa norma il costituente ha voluto realizzare una sintesi tra la libertà di iniziativa economica e la necessità che questa non sia assoluta, ma tenga conto dei limiti di legge e venga esercitata in un'ottica solidaristica.

Spiegazione dell'art. 41 Costituzione

l titolo III della Costituzione disciplina in generale i rapporti economici e contiene le disposizioni fondamentali in materia di rapporti di lavoro e di regime giuridico della proprietà.

L'affermazione dello Stato sociale ed il riconoscimento dei suoi principi va integrata e resa compatibile con la logica dell'economia di mercato proclamata dal costituente.

La norma in esame riconosce e legittima la libertà di iniziativa economica privata, sia al fine di intraprendere un'attività economica, sia al fine di organizzarne le risorse umane e materiali necessarie per svolgere tale attività.

Va precisato che l'art. 41 rappresenta una delle disposizioni che più di tutte ha risentito dell'adesione dell'Italia all'Unione Europea, dato che il nostro ordinamento, originariamente, prevedeva una economia mista, in astratto contrasto con le regole della concorrenza e del libero mercato.

Da questo comma emerge infatti la tendenza del costituente ad introdurre una forma di economia mista, pubblica e privata, in cui, cioè, lo Stato non si limita a porre delle norme di regolamento ma interviene in qualità di soggetto imprenditore, sia costituendo imprese sia assumendo il controllo, totale o parziale, di imprese già esistenti.

Tuttavia si tratta di una situazione che ha caratterizzato il periodo dal secondo dopoguerra agli anni '90, a partire dai quali si è assistito ad un processo esattamente opposto: la dismissione delle partecipazioni statali detenute ed, in generale, una tendenza a privatizzare le imprese pubbliche, già prima dell'adesione dell'Italia all'Unione Europea

Il secondo comma prevede dei limiti alla libera iniziativa economica. Secondo alcuni il comma in esame contiene una riserva di legge implicita poichè, enunciati questi limiti, essi devono essere concretamente specificati da una legge ordinaria.

In ogni caso, essi sono espressione di valori costituzionalmente rilevanti, come il diritto alla libertà di cui all'art. 13 Cost.; quello alla sicurezza, che comprende anche il diritto alla salute (art. 32 Cost.); quello alla dignità sia dei lavoratori (art. 35 Cost.) che dei consumatori, destinatari, questi ultimi, anche di un'apposita tutela sia a livello comunitario (art. 38 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea) che nazionale (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del consumo).

Il terzo comma impone invece allo Stato di impegnarsi in via legislativa allo scopo di raggiungere i fini predetti. Tali esigenze di controllo ed indirizzo vengono realizzate mediante politiche di settore, cioè relative a singoli settori economici, per specifici obiettivi (in luogo di vere e proprie forme di controllo) e che si sostanziano in misure quali incentivi o sgravi fiscali.

Tale intervento legislativo ha preso corpo dopo che, negli anni '60, è emersa l'inutilità di un intervento a livello generale. In ogni caso, quello cui il legislatore tende, è introdurre misure che assicurino che l'economia realizzi anche un'equa distribuzione delle risorse, nella convinzione che questo non possa essere un esito naturale del mercato. Sono però sempre escluse forme di interventismo talmente massicce da sopprimere del tutto l'iniziativa privata, in adesione al principio di sussidiarietà orizzontale.

Relazione al Progetto della Costituzione

(Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947)

41 La costituzione riconosce e garantisce nell'economia italiana — ed a ciò non si oppongono le correnti estreme — l'iniziativa e la libertà privata, e la proprietà privata dei beni di consumo e dei mezzi di produzione. Il progetto pone in luce la coesistenza di attività pubbliche e private che debbono ciascuna proporsi di provvedere insieme ai bisogni individuali ed ai collettivi. Limitazioni della proprietà sono ormai comuni a tutte le costituzioni; e la coscienza moderna richiede che la proprietà adempia la sua funzione sociale e sia accessibile a tutti mediante il lavoro e il risparmio.

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Consulenze legali
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Paola D. B. chiede
mercoledì 09/03/2016 - Veneto
“In riferimento alla Leggge N. 21/92 art.5 comma1B-servizio taxi, competenze comunali relative ai 'turni di servizio' e, aggiungo,in armonia alla (gestione dell'attività e tutela della concorrenza) "libera iniziativa economica privata' (cost.Ita.art.41) come s'interpreta che "la materia debba formare oggetto di Accordi tra l'amm.ne comunale E gli operatori,stanti gli aspetti di interesse pubblico ad essa immanenti,conferma come essa non possa essere rimessa sic et simpliciter(art.32 comma1)al potere decisionale dei Singoli titolari" quando le cooperative radiotaxi = associazioni di Categoria (di maggioranza) non hanno l'obbligo a contrarre' ed il 'circuito servizio radiotaxi' (concorrente alle colonnine telefoniche) che risulta essenziale nell'offerta ('standard minimi' di servizio-pareri antitrust as505/2015 e as277/2004) di servizio pubblico taxi non è a tutti equamente garantito?”
Consulenza legale i 18/03/2016
Il quesito posto alla nostra attenzione, anche alla luce della integrazione di informazione fornitaci, pertiene alla inapplicabilità al servizio di taxi delle novità legislative introdotte nel 2011 in materia di liberalizzazione.
In particolare, si contesta la legittimità della regolamentazione, da parte dei Comuni, del servizio di taxi basata sulla rigida previsione di turni con limiti minimi e massimi di durata per ogni titolare di licenza.
L'inapplicabilità della liberalizzazione al servizio taxi è dovuta al chiaro dettato dell'art. 3, comma 11-bis del D.L. n. 138/2011, il quale stabilisce che: "in conformita' alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sono invece esclusi dall'abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8 i servizi di taxi e noleggio con conducente non di linea, svolti esclusivamente con veicoli categoria M1, di cui all' articolo 6 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59".
Il comma 8 dell'art. 3 del D.L. n. 138/2011 prevede che: "Le restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle attività economiche previste dall'ordinamento vigente sono abrogate quattro mesi dopo l'entrata in vigore del presente decreto, fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo".
Il comma 9 del medesimo articolo contiene un elenco tassativo delle cd. "restrizioni" che sono state abrogate, tra cui, per esempio: "a) la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una attivita' economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l'esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno; (...).
Per le restrizioni non inserite nell'elenco del comma 9, "possono essere revocate con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, emanato su proposta del Ministro competente entro quattro mesi dall'entrata in vigore del presente decreto" (cfr. comma 10, art. 3, D.L. n. 138/2011).
Pertanto, per le attività liberalizzate dall'art. 3 - tra cui non rientra, in ogni caso, il servizio taxi - le sole restrizioni abrogate sono quelle specificamente indicate come tali dalla legge, per essere state inserite nell'elenco del comma 9 dello stesso articolo.
In ogni caso, si ribadisce che la liberalizzazione disposta per i settori ordinari ha incontrato per i taxi un regime derogatorio, essendo stati "esclusi dall'abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8".
Ci viene richiesto un chiarimento in ordine alla seguente espressione utilizzata dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 17 gennaio 2014, n. 166 : "la materia debba formare oggetto di accordi tra l'Amministrazione comunale e gli operatori, stanti gli aspetti di interesse pubblico ad essa immanenti, conferma come essa non possa essere rimessa sic et simpliciter al potere decisionale dei singoli titolari".
Semplicemente il Consiglio di Stato sottolinea che la regolamentazione del servizio taxi è frutto di accordi tra l'Amministrazione comunale e gli operatori, poiché tale servizio costituisce un servizio pubblico. Ne deriva che l'intera regolamentazione non potrebbe essere rimessa ai soli titolari delle licenze.
"Il servizio taxi (...) è sottoposto a licenza e soprattutto ad un regime di continuità e doverosità a tutela dell'utenza indifferenziata, oltre che di controllo pubblico delle tariffe" (cfr. T.A.R. Perugia, (Umbria), Sez. I, 16 febbraio 2015, n. 68).
Nello stesso senso del Consiglio di Stato si è pronunciato, per esempio, il T.A.R. Pescara, (Abruzzo), Sez. I, 11 agosto 2014, n. 379: "Per il servizio taxi non operano le prescrizioni liberalizzatrici introdotte dall'art. 3, d.l. 13 agosto 2011 n. 138".
Per concludere, "a seguito della domanda e dell'ottenimento della licenza i conducenti di taxi devono svolgere la loro attività nel rispetto di uno specifico e compiuto complesso normativo, nell'ambito del quale campeggia il regolamento comunale di settore, e con ciò viene a determinarsi l'instaurazione di uno speciale rapporto tra conducenti e Amministrazione comunale, che giustifica il conseguente potere-dovere di controllo della seconda sulla regolarità dell'attività di servizio prestata dei primi alla stregua dell'apposito codice di comportamento loro applicabile, il quale sta a presidio della deontologia professionale degli operatori in questione, a tutela dell'interesse pubblico ma anche della stessa categoria interessata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4866).