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Articolo 156 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Rilevanza della nullità

Dispositivo dell'art. 156 Codice di procedura civile

Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme (1) di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (2).

Può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo (3) (4).

La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (5).

Note

(1) La norma si riferisce ai c.d. vizi formali, ovvero quei vizi che consistono nella mancata osservanza dei requisiti formali degli atti processuali. Si tratta cioè sia delle forme previste per il compimento degli atti processuali, sia dei requisiti non strettamente formali, quali la competenza del giudice, la capacità processuale, il potere rappresentativo e la legittimazione processuale.
(2) Il comma in analisi è espressione del principio della c.d. tassatività delle nullità, in virtù del quale la nullità si determina solamente quando viene espressamente prevista dalla legge. Tipici esempi si riscontrano agli artt. 128 in caso di mancata pubblicità della udienza, 158 in caso di vizi relativi alla costituzione del giudice o all'intervento del P.M., o ancora l'art.160 relativo ai vizi della notificazione, 161 in caso di mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, o l'art.164 che indica i casi di nullità della citazione.
(3) Il secondo comma è espressione del principio della inidoneità allo scopo, che consiste in un altro criterio per individuare le ipotesi di nullità. Invero, la nullità si determina quando l'atto, in astratto, non si presenta idoneo a conseguire la funzione per cui è stato previsto dalla legge. Ad esempio è nulla la sentenza priva di motivazione, in quanto non adempie alle finalità che la legge attribuisce alla sentenza.
(4) La norma si riferisce allo scopo dell'atto, inteso non in senso soggettivo come finalità di colui che lo compie, ma in senso oggettivo, ovvero finalità prevista dalla legge. Nello specifico si parla di funzione tipica che la legge ha assegnato all'atto all'interno del processo.
(5) L'ultimo comma consacra il principio della c.d. strumentalità delle forme, in base al quale se lo scopo dell'atto è in concreto raggiunto, la nullità non può essere dichiarata. Ad esempio, la notificazione dell'atto di impugnazione che non rispetti l'ordine dei luoghi ex art. 330 è nulla in quanto in astratto non idonea allo scopo. Tuttavia, se la parte si costituisce, la nullità non può essere dichiarata in quanto l'atto ha in concreto raggiunto il proprio scopo.

Ratio Legis

La norma in commento trova la sua ratio nel principio di tassatività, in base al quale l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento determina la nullità solamente nei casi previsti dalla legge. Invero, l'ambito di cui si occupa l'articolo de quo è quello delle c.d. nullità formali cioè derivanti dall'inosservanza delle forme prescritte per il compimento di un atto. Tuttavia, l'opinione dottrinale prevalente ritiene che sia possibile applicare la disciplina degli artt. 156 e ss. anche alle nullità derivanti da vizi non formali ossia quelli che riguardano i presupposti processuali, i soggetti, le circostanze esterne.

Spiegazione dell'art. 156 Codice di procedura civile

Con questa norma il legislatore si è occupato della nullità, la quale può essere di due tipi:
  1. nullità formale: è tale quella che riguarda i singoli atti del processo;
  2. nullità extraformale: discende da un vizio dei presupposti processuali, il quale può anche essere rilevato d’ufficio dal giudice.
Se tale vizio è insanabile, allora il processo si chiude, mentre se è sanabile se ne attua la sanatoria secondo quanto previsto dal successivo art. 157 del c.p.c..

La norma in esame si occupa del primo tipo di nullità, ossia quella riguardante il singolo atto del processo, la quale, a sua volta, può aversi in due ipotesi concorrenti, ossia:
  1. per espressa previsione di legge (viene sancito il principio della c.d. tassatività delle nullità);
  2. per inidoneità dell’atto a raggiungere lo scopo per cui è stato posto in essere. E’ questa l’ipotesi prevista dal secondo comma e la nullità si determina quando l’atto, in astratto, non si presenta idoneo a conseguire la propria funzione (ne è un esempio la sentenza nulla perché priva di motivazione, in quanto non adempie alla finalità che la legge attribuisce alla sentenza).

Lo scopo dell’atto non deve indentificarsi con quello soggettivo di colui che lo compie, ma è quello oggettivo previsto dalla legge, ovvero la funzione tipica che per la legge deve assumere l’atto all’interno del processo.

Carattere peculiare della nullità degli atti processuali è il fatto che l’atto, anche se nullo, è comunque in grado di produrre i suoi effetti tipici, come se fosse valido, ma nello stesso tempo è soggetto ad impugnazione (si tratta, per certi versi, di una figura analoga all’istituto della annullabilità proprio del diritto civile sostanziale).

Di particolare importanza ai fini dello svolgimento del processo è il terzo comma della norma, il quale dispone che in ogni caso la nullità, malgrado una espressa previsione di legge, non può essere pronunciata se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo per il quale era stato posto in essere (viene qui sancito il c.d. principio della strumentalità delle forme).
In tal caso, infatti, sono i fatti stessi (cioè il raggiungimento dello scopo) a conferire validità oggettiva all’atto, determinandone la sua sanatoria.

Esempio ricorrente di una tale ipotesi si ha in materia di notificazione, la cui nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo a cui era destinato, ovvero tutte le volte in cui l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario.

Nei casi in cui, invece, l’atto oltre che invalido sia anche inefficace, allora non si parlerà più di nullità dell’atto, ma di sua inesistenza.
Così, la c.d. inesistenza giuridica o nullità radicale di un provvedimento avente contenuto decisorio, erroneamente emesso da un giudice carente di potere o che emana un provvedimento irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere fatta valere in ogni tempo, mediante un’azione di accertamento negativo (actio nullitatis), oltre che essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Massime relative all'art. 156 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 4163/2015

Ai sensi dell'art. 156 cod. proc. civ., in mancanza di un'espressa sanzione di nullità, la nota d'iscrizione a ruolo è nulla per irregolarità formali, con conseguente mancata costituzione della parte, solo quando difettino i requisiti indispensabili per il raggiungimento del suo scopo, che è quello di portare la causa a conoscenza del giudice perché possa trattare e decidere la lite instauratasi fra le parti con l'atto di citazione, sicché non ne ricorrono i presupposti quando la nota, ancorché incompleta o erronea in qualcuno dei suoi elementi, sia comunque tale da consentire d'individuare con sicurezza il rapporto processuale su cui è invocata la pronuncia del giudice adito.

Cass. civ. n. 5160/2009

L'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvensionale) -al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione- realizza un deposito dell'atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un "nuncius", può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, c.p.c.; in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione.

Cass. civ. n. 11664/2006

Nel nostro sistema processuale, caratterizzato dal principio di tassatività delle nullità, che limita le ipotesi di nullità degli atti processuali ai soli casi di espressa previsione di legge o di mancato raggiungimento dello scopo, la manifesta adesione del giudicante ad una determinata ideologia, pur se esplicitata nell'atto, non produce la nullità della sentenza ove non incida sulla correttezza della decisione, pur potendo essa rilevare sotto il diverso profilo deontologico e disciplinare. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che non aveva riformato la sentenza di primo grado contenente alcune singolari affermazioni del giudicante relative ai propri convincimenti ideologici, in quanto la decisione era comunque adeguatamente motivata sulla base del dettagliato esame delle risultanze processuali e delle norme applicabili alla fattispecie).

Cass. civ. n. 14560/2004

In tema di condominio di edifici, ai fini della tempestività dell'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini a norma dell'art. 1137 c.c., al deposito del ricorso nel termine di trenta giorni dalla data della adozione o comunicazione della deliberazione stessa è da ritenersi equipollente, in virtù del principio generale di conservazione degli atti quando essi conseguano lo scopo cui sono destinati, la notificazione della citazione introduttiva nel medesimo termine, anche quando l'iscrizione a ruolo sia avvenuta successivamente.

Cass. civ. n. 6194/2004

L'atto processuale è inesistente solamente se privo degli elementi necessari alla sua qualificazione come atto inquadrabile e riconoscibile in una astratta fattispecie giuridica, nel qual caso si considera tamquam non esset e, pertanto, insuscettibile di sanatoria; mentre è viceversa nullo, e come tale sanabile ex art. 156, ultimo comma, c.p.c., qualora sia soltanto privo di un elemento, (o inficiato da un vizio), essenziale ai fini della produzione di effetti processuali.

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Antonio chiede
giovedì 10/02/2011 - Campania

“Il fascicolo contenente la produzione di documenti per un ricorso ex art 414, dopo il giudizio di primo grado, deve essere restituito al cliente da parte dell'avvocato?”

Consulenza legale i 11/02/2011

Il codice deontologico forense, che detta le norme etiche per il comportamento dell'avvocato, dispone all'art. 42 (rubricato "Restituzione di documenti"): L’avvocato è in ogni caso obbligato a restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazione dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato quando questa ne faccia richiesta. L’avvocato può trattenere copia della documentazione, senza il consenso della parte assistita, solo quando ciò sia necessario ai fini della liquidazione del compenso e non oltre l’avvenuto pagamento.