(massima n. 1)
Va dichiarata l'illegittimità costituzionale, per violazione dei principi di offensività, uguaglianza e proporzionalità, dell'art. 69, quarto comma, c.p., come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, terzo comma, c.p., sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, c.p.; il divieto di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all'attenuante dell'art. 609-bis, terzo comma, c.p., impedisce, infatti, il necessario adeguamento, che dovrebbe avvenire appunto attraverso l'applicazione della pena stabilita dal legislatore per il caso di «minore gravità». L'incidenza della regola preclusiva sancita dall'art. 69, quarto comma, c.p.., sulla diversità delle cornici edittali prefigurate dal primo e dal terzo comma dell'art. 609-bis c.p., che viene annullata, attribuisce così alla risposta punitiva i connotati di «una pena palesemente sproporzionata» e, dunque, «inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato». La norma censurata è in contrasto, altresì, con la finalità rieducativa della pena, che implica «un costante 'principio di proporzione' tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra; ciò si evidenzia, in particolare, nella divaricazione tra i livelli minimi, rispettivamente di cinque anni, per il primo comma dell'art. 609-bis c.p., e di un anno e otto mesi, per il terzo comma dello stesso articolo. Così, per effetto dell'equivalenza tra la recidiva reiterata e l'attenuante della minore gravità, l'imputato viene di fatto a subire un aumento assai superiore a quello specificamente previsto dall'art. 99, quarto comma, c.p., che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi. Infine va sottolineato che, per effetto del divieto in questione, fatti anche di minima entità vengono ad essere irragionevolmente sanzionati con la stessa pena, prevista dal primo comma dell'art. 609-bis cod. pen., per le ipotesi di violenza più gravi, vale a dire per condotte che, pur aggredendo il medesimo bene giuridico, sono completamente diverse, sia per le modalità, sia per il danno arrecato alla vittima.