(massima n. 1)
Il divieto assoluto di operare la diminuzione di pena prevista per attenuanti connesse al ravvedimento post delictum del reo, in presenza di recidiva reiterata, frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio posta a fondamento di tali circostanze, perché fa venire meno l’incentivo sul quale lo stesso legislatore ha fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa, disconoscendo al contempo la condotta del reo contemporanea o susseguente al reato, quale indice della sua personalità e capacità a delinquere. (Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante della collaborazione del reo di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen. L’attenuante ad effetto speciale prevista per il furto dall’art. 625-bis – introdotta dalla legge n. 128 del 2001 e rimasta inalterata anche dopo gli interventi legislativi che hanno aggravato il trattamento sanzionatorio di tale reato – è finalizzata ad incentivare, tramite una consistente riduzione di pena, il ravvedimento del reo, quale strumento anch’esso rivolto sia alla protezione dei beni giuridici coinvolti che alla prevenzione e repressione dei reati. La ratio incentivante di tale disposizione – che contribuisce all’equilibrio complessivo di una disciplina sanzionatoria divenuta nel tempo certamente severa – è tuttavia sterilizzata dal divieto censurato dal Tribunale di Perugia che, accordando una rilevanza insuperabile alla recidiva reiterata ed escludendo ogni incidenza della collaborazione sulla determinazione in concreto della pena, finisce irragionevolmente per compromettere il raggiungimento di tale obiettivo in contrasto con la stessa intenzione del legislatore e senza alcuna considerazione dei rischi che la collaborazione comporta per il distacco dell’autore dall’ambiente criminoso, così vanificando anche la finalità rieducativa della pena, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato).