Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 3559 del 10 marzo 2001

(2 massime)

(massima n. 1)

In materia di appalto, l'apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell'appaltatore non comporta l'improcedibilità dell'azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ai sensi dell'art. 1676 c.c., per il recupero dei loro crediti verso l'appaltatore datore di lavoro, atteso che la previsione normativa di una tale azione risponde proprio all'esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell'insolvenza del debitore e che, d'altra parte, si tratta di un'azione «diretta», incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito, sì da doversi escludere che il conseguimento di una somma, che non fa parte del patrimonio del fallito, possa comportare un nocumento delle ragioni degli altri dipendenti dell'appaltatore, che fanno affidamento sulle somme dovute (ma non ancora corrisposte) dal committente per l'esecuzione dell'opera appaltata; né tale situazione suscita sospetti di incostituzionalità, con riferimento all'art. 3 Costituzione (letto in corrispondenza del principio della par condicio creditorum), non essendo irrazionale una norma che accorda uno specifico beneficio a determinati lavoratori, anche rispetto ad altri, in relazione all'attività lavorativa dai medesimi espletata e dalla quale un altro soggetto (il committente) ha ricavato un particolare vantaggio.

(massima n. 2)

L'art. 1676 c.c. che consente agli ausiliari dell'appaltatore di agire direttamente contro il committente per «quanto è loro dovuto» si applica anche ai contratti di appalto stipulati con le pubbliche amministrazioni, trovando tale disposizione un puntuale riscontro nell'art. 357 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F), contemplante la possibilità di pagamento diretto da parte dell'amministrazione della retribuzione dei dipendenti dell'appaltatore non corrisposta alle previste scadenze, e non essendo la medesima disposizione incompatibile con l'art. 351 della citata legge n. 2248 del 1865, limitativo della possibilità di sequestro dei corrispettivi di tali appalti, con la conseguenza che anche in tale materia si configura un rapporto diretto fra gli ausiliari dell'appaltatore e l'ente committente, riguardo ai crediti retributivi dei primi verso l'appaltatore datore di lavoro; ne deriva che, nell'ambito di tale rapporto diretto, non può assumere rilevanza la normativa relativa all'osservanza delle norme sulla contabilità della pubblica amministrazione, in relazione alla esigibilità del credito dell'appaltatore nei confronti dell'ente committente.

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