Corte costituzionale sentenza n. 289 del 13 luglio 1994

(5 massime)

(massima n. 1)

Il trattamento fiscale disposto a favore delle rendite vitalizie costituite a titolo oneroso dall'art. 33, terzo comma, del D.P.R. n. 42 del 1988 (con l'abbattimento al 60 per cento della base imponibile) trova la sua spiegazione sia nel fatto che dette rendite vengono costituite mediante provvista di un capitale a totale carico del beneficiario della rendita, e pertanto anche come forma di incentivo al risparmio privato, sia nel fatto che lo stesso beneficiario, nel momento in cui viene a godere della rendita, ha già provveduto a versare le imposte sulle quote di capitale destinate a risparmio, con la conseguenza che la riduzione della base imponibile rispetto alle rendite riscosse viene a rappresentare un correttivo giustificato dall'esigenza di evitare l'onere ingiusto di una doppia imposizione. Tali presupposti non si rinvengono con riguardo agli assegni vitalizi - ai quali, con l'art. 2, comma 6-bis, della legge n. 154 del 1989 (abrogato, ma solo 'ex nunc', con l'art. 14, comma 18, della legge n. 537 del 1993) tale trattamento è stato esteso - erogati a favore dei parlamentari cessati dalla carica, le cui contribuzioni, oltre ad essere integrate con quote a carico dell'erario, risultano, al pari dei contributi pensionistici, suscettibili di detrazione dalla base imponibile rappresentata dagli importi dell'indennità in carica.

(massima n. 2)

Stante l'assenza di una identità di presupposti, specificamente attinenti alla materia fiscale, tra le rendite vitalizie di cui all'art. 47 lett. h) D.P.R. n. 917/1986 e gli assegni vitalizi percepiti da ex parlamentari e dalle categorie equiparate, non sussistono ragioni idonee a giustificare l'equiparazione normativamente operata tra il regime fiscale degli assegni vitalizi e quello delle rendite vitalizie, al fine di concedere ai primi il trattamento privilegiato riconosciuto dalla legge a favore delle seconde, consistente nella riduzione della base imponibile ai fini I.R.PE.F. al 60 per cento. Pertanto va dichiarata l'illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., dell'art. 2, comma sesto-bis, L. 27 aprile 1989, n. 154, di conversione del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (abrogato con l'art. 14, comma 18, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ma tuttora applicabile e riferibile ai rapporti anteriori) nella parte in cui - mediante equiparazione tra i vitalizi di cui al secondo comma dell'art. 24 ed al penultimo comma dell'art. 29 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e le rendite vitalizie di cui al comma primo lett. h) dell'art. 47 del testo unico approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - riconosce a favore degli stessi vitalizi, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, un trattamento tributario privilegiato, con l'abbattimento della base imponibile al 60 per cento del reddito percepito.

(massima n. 3)

La questione di legittimità costituzionale va riconosciuta rilevante e pregiudiziale ai fini della decisione da assumere nei giudizi pendenti e quindi ammissibile, quando, deducendo la violazione del principio di eguaglianza, si chiede una pronuncia di tipo additivo diretta non ad eliminare, ma ad estendere, alla categoria di cui ai giudizi 'a quibus', l'area di operatività della norma di privilegio. (Fattispecie concernente la legittimità costituzionale della norma introducente un trattamento fiscale privilegiato degli assegni vitalizi percepiti dagli ex parlamentari e dalle categorie equiparate, al fine di estenderne l'applicabilità, con sentenza additiva da parte della Corte, ai titolari di pensione del pubblico impiego, proponenti i procedimenti 'a quibus'). - Nello stesso senso, O. n. 294/1993 (con la quale la Corte costituzionale ha sollevato, nei confronti della norma suddetta, oltre a quelle già sollevate da Commissioni tributarie, la ulteriore questione di cui alla successiva massima E).

(massima n. 4)

La diversità di natura e di regime che distingue gli assegni vitalizi, corrisposti ad ex parlamentari e alle categorie equiparate, dalle pensioni ordinarie spettanti ai pubblici dipendenti in quiescenza non consente di ravvisare una lesione del principio di eguaglianza nella mancata estensione a questi ultimi del più favorevole trattamento fiscale, costituito dall'assoggettamento ad imposta - I.R.PE.F. - in percentuale ridotta (mediante l'abbattimento della base imponibile al 60% del reddito percepito) riservato ai primi. Non è dunque sotto questo profilo che può essere accolta la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nei confronti della norma (art. 2, comma sesto-bis, legge 27 aprile 1989, n. 154) che tale trattamento prevede.

(massima n. 5)

Tra gli assegni vitalizi corrisposti ad ex parlamentari e alle categorie equiparate e le pensioni ordinarie spettanti ai pubblici dipendenti in quiescenza, nonostante la presenza di alcuni profili di affinità, non sussiste una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico, indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego. Tale diversità assume d'altro canto un'evidenza particolare, dal momento che il particolare tipo di previdenza, costituito dall'assegno vitalizio, ha trovato la sua origine in una forma di mutualità (Casse di previdenza per i deputati e i senatori istituite nel 1956), che si è gradualmente trasformata in una forma di previdenza obbligatoria di carattere pubblicistico, conservando peraltro un regime speciale, non regolato dalla legge, ma dai regolamenti interni a ciascuna Camera, con aspetti in parte riconducibili al modello pensionistico e in parte tipici del regime delle assicurazioni private.

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