Cassazione civile Sez. V sentenza n. 13803 del 7 novembre 2001

(2 massime)

(massima n. 1)

L'alternatività dei tre criteri di individuazione della residenza fiscale del contribuente in Italia previsti dall'art. 2 comma 2 D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, permette di assoggettare a tassazione in Italia il soggetto che vi abbia la sede principale dei suoi interessi economici e delle proprie relazioni personali. Conseguentemente il cittadino italiano, pur iscritto nei registri dei residenti all'estero, risulta assoggettato a tassazione in Italia anche per i redditi prodotti e dichiarati in altro Stato quando si rende applicabile il criterio di collegamento del domicilio previsto dalla relativa convenzione contro le doppie imposizioni.

(massima n. 2)

In tema d'imposta sui redditi, l'art. 2, comma 2, D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa: il primo, formale, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue, pertanto, che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali. Né a diversa conclusione conduce la convenzione tra l'Italia e la Gran Bretagna per evitare le doppie imposizioni (ratificata e resa esecutiva con la l. 5 novembre 1990 n. 329), atteso che, ai sensi dell'art. 4 del testo dell'accordo, il concetto di residenza fiscale ben può essere ricollegato, ove non sia possibile l'utilizzazione di altri criteri, al centro degli interessi vitali, ossia al luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali.

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