Consiglio di Stato Sez. V sentenza n. 4474 del 9 settembre 2013

(7 massime)

(massima n. 1)

Nel giudizio elettorale il principio della specificità dei motivi di censura e dell'onere della prova è da considerarsi attenuato in considerazione della situazione di obiettiva difficoltà in cui si trova il soggetto che ha interesse a contestare le operazioni elettorali illegittime sulla base di dati informativi di carattere indiziario e della correlata esigenza di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale sancita dagli artt. 24 e 113 Cost., per cui è necessario e sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che l'atto introduttivo indichi, non in termini astratti ma con riferimento a fattispecie concrete, la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate e le sezioni cui si riferiscono, mentre si appalesano inammissibili azioni esplorative volte al mero riesame delle operazioni svolte.

(massima n. 2)

Nel giudizio elettorale, è generica la doglianza con cui il ricorrente, pur indicando con precisione il numero delle preferenze non attribuite e le sezioni elettorali in cui tale situazione si è verificata, ometta di esprimere quali vicende illegittime abbiano provocato tale mancata attribuzione; ciò in quanto anche nel contenzioso elettorale il ricorrente ha l'onere di prospettare con sufficiente grado di concretezza i motivi di censura - in modo da far ragionevolmente individuare i vizi che avrebbero contrassegnato l'attribuzione dei voti di preferenza - all'evidente scopo di evitare che l'indicazione dei voti contestati si trasformi in un mero espediente per provocare un generale riesame delle schede elettorali in sede di giudizio.

(massima n. 3)

Nel contenzioso elettorale, il principio della specificità dei motivi di censura, seppure lievemente temperato, richiede pur sempre, ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che l'atto introduttivo indichi la natura dei vizi denunciati, il numero (esatto) delle schede contestate e le Sezioni cui si riferiscono le schede medesime, con la precisazione però che tutto ciò non va enunciato in termini astratti, ma con riferimento a fattispecie concrete, e cioè in modo tale che la vaghezza delle critiche non riveli la natura esplorativa della doglianza.

(massima n. 4)

Nel giudizio elettorale, mentre di norma non si riconosce alcun valore di principio di prova alle dichiarazioni rese da cittadini elettori, si attribuisce tale valore alle dichiarazioni rese dai rappresentanti di lista in quanto gli stessi, pur non essendo componenti del seggio elettorale, sono tuttavia soggetti che svolgono nei seggi funzioni regolate dalla normativa elettorale, partecipano a tutte le operazioni del seggio e svolgono funzioni di controllo del procedimento elettorale; pertanto, l'intervento dei rappresentanti di lista si giustifica quale garanzia ulteriore predisposta dall'ordinamento per assicurare, nell'interesse generale, il corretto svolgimento delle operazioni di scrutinio.

(massima n. 5)

Nel procedimento elettorale i verbali di sezione non devono contenere i motivi di annullamento delle singole schede, né vi è l'onere che uno o più rappresentanti di lista contestino singole decisioni del seggio, obbligando questo alla verbalizzazione perché, in caso contrario, i ricorrenti sarebbero tenuti a dimostrazioni probatorie virtualmente impossibili ed inoltre l'assenza di propri rappresentanti di lista o di eventuali altri soggetti presenti allo scrutinio vanificherebbe l'esercizio della tutela giurisdizionale in campo elettorale.

(massima n. 6)

La circostanza che i verbali delle operazioni elettorali in quanto atti pubblici, ai sensi dell'art. 2700 Cod. civ., fanno piena prova sino a querela di falso di quanto il presidente di seggio, in qualità di pubblico ufficiale, attesta di avere compiuto ed essere avvenuto in sua presenza non significa che non possa essere messo in discussione, non quanto il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto e da lui compiuto, ma piuttosto l'esattezza dei dati trascritti, da verificare alla luce di altri atti anch'essi facenti parte del procedimento elettorale, ovvero la conformità alle norme di quanto risultante dal verbale; in tale caso, infatti, non viene dedotta la falsità delle attestazioni e la fede privilegiata di cui gode il verbale ed è consentito al giudice amministrativo di compiere tutti gli accertamenti istruttori ritenuti necessari, nei limiti dei motivi del ricorso proposto, al fine di verificare l'effettiva volontà espressa dal corpo elettorale.

(massima n. 7)

In tema di elezioni l'art. 71 comma 5 T.U. 18 agosto 2000 n. 267 per il suo carattere di specialità, non può prevalere sull'art. 57 comma 7 T.U. 16 maggio 1960 n. 570, anche se questo è stato emanato in epoca antecedente alla intervenuta distinzione della normativa applicabile ai Comuni nella materia in parola a seconda del numero della loro popolazione, atteso che detto T.U. non afferma esplicitamente il venir meno della applicabilità della precedente disposizione a carattere generale, né questa è incompatibile con la nuova normativa, solo perché ha introdotto la possibilità del c.d. "voto disgiunto" nei Comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti, tenendo presente che l'aver introdotto la possibilità che il voto espresso per il candidato consigliere di una lista diversa da quella per la quale è stato espresso il voto per il candidato Sindaco sia valido non esclude che nei Comuni, con popolazione inferiore, in cui ciò non è possibile, sia consentito, in applicazione del principio della conservazione degli atti giuridici, continuare ad applicare la risalente normativa per la quale in tali casi è inefficace il voto di preferenza e salvo il voto di lista.

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