Consiglio di Stato Sez. VI sentenza n. 4299 del 15 settembre 2015

(4 massime)

(massima n. 1)

La scelta del codice del processo amministrativo, quale chiaramente si desume dall'univoca formulazione dell'art. 114, comma 6, c.p.a., è stata quella di qualificare il commissario ad acta nominato in sede di esecuzione del giudicato quale ausiliario del giudice e di ricondurre, quindi, alla giurisdizione "esecutiva" l'impugnazione dei suoi atti, superando in tal modo la precedente teoria mista (secondo cui il commissario è un organo "dimidiato"), senza che quindi rilevi ormai la distinzione fondata sulla sussistenza o meno di margini di discrezionalità lasciati dal giudicato.

(massima n. 2)

Il reclamo previsto dall'art. 114, comma 6, c.p.a. (ai sensi del quale "avverso gli atti del commissario ad acta le parti possono proporre innanzi al giudice dell'ottemperanza reclamo che è depositato nel termine di sessanta giorni, previa notifica ai controinteressati"), è l'unico mezzo processuale che l'ordinamento consente (almeno per chi è stato parte del giudizio conclusosi con il giudicato) per contestare gli atti del commissario ad acta, a prescindere dalla maggiore o minore ampiezza della discrezionalità di cui dispone nell'esecuzione del giudicato. La proposizione del reclamo a sua volta richiede il rispetto del termine di sessanta giorni previsto per il deposito, previa notifica ai controinteressati (alla stregua del principio è stata confermata la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso/reclamo diretto contro un provvedimento adottato dal commissario ad acta, perché depositato dopo il termine di 60 giorni).

(massima n. 3)

La scelta del codice del processo amministrativo, quale chiaramente si desume dall'univoca formulazione dell'art. 114, comma 6, c.p.a., è stata quella di qualificare il commissario ad acta nominato in sede di esecuzione del giudicato quale ausiliario del giudice e di ricondurre, quindi, alla giurisdizione "esecutiva" l'impugnazione dei suoi atti, superando in tal modo la precedente teoria mista (secondo cui il commissario è un organo "dimidiato"), senza che quindi rilevi ormai la distinzione fondata sulla sussistenza o meno di margini di discrezionalità lasciati dal giudicato.

(massima n. 4)

Il reclamo previsto dall'art. 114, comma 6, c.p.a. (ai sensi del quale "avverso gli atti del commissario ad acta le parti possono proporre innanzi al giudice dell'ottemperanza reclamo che è depositato nel termine di sessanta giorni, previa notifica ai contro interessati"), è l'unico mezzo processuale che l'ordinamento consente (almeno per chi è stato parte del giudizio conclusosi con il giudicato) per contestare gli atti del commissario ad acta, a prescindere dalla maggiore o minore ampiezza della discrezionalità di cui dispone nell'esecuzione del giudicato. La proposizione del reclamo a sua volta richiede il rispetto del termine di sessanta giorni previsto per il deposito, previa notifica ai controinteressati (alla stregua del principio è stata confermata la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso/reclamo diretto contro un provvedimento adottato dal commissario ad acta, perchè depositato dopo il termine di 60 giorni).

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