Consiglio di Stato Sez. II sentenza n. 3805 del 5 giugno 2019

(2 massime)

(massima n. 1)

Il decorso del termine quinquennale previsto dall'art. 82 D.Lgs. n. 104/2010 è presupposto dalla norma stessa quale evento che matura di per sé, anche a prescindere dal compimento di attività processuale ad opera delle parti e che determina l'oggettivo esaurimento degli effetti della domanda di fissazione dell'udienza di trattazione del merito del ricorso originariamente depositata: e da ciò, quindi, non può che discendere l'intrinseca illogicità del fatto che il decorso di tale consistente lasso di tempo alla sospensione feriale riferita a ciascuno degli anni durante i quali decorre il quinquennio. In base al differimento del decorso del termine processuale a giorni che abbia inizio durante il periodo di sospensione feriale previsto dall'art. 1, primo comma, secondo periodo della L. n. 742 del 1969, il primo giorno successivo alla scadenza del periodo feriale va computato nel termine di sospensione; inoltre, ai sensi dell'art. 82, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010, l'estinzione del ricorso per perenzione deve essere dichiarata allorché il ricorrente, una volta ricevuto l'apposito avviso di c.d. perenzione ultraquinquennale comunicato dalla Segreteria, non abbia presentato nel termine di 180 giorni dalla data di ricezione dell'avviso una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura e dal suo difensore. Nel processo amministrativo, dall'opposizione a perenzione discende che le comunicazioni di segreteria tramite posta elettronica certificata sono valide anche se riferite a ricorsi notificati prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo anche se indirizzate a un difensore che aveva omesso di indicare il proprio indirizzo PEC nel ricorso o nel primo atto difensivo. Inoltre, in caso di tardività dell'opposizione rispetto a tale comunicazione, non può essere concesso il beneficio dell'errore scusabile, in quanto l'art. 37 D.Lgs. n. 104/2010, risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, va considerato norma di stretta interpretazione e un suo uso largheggiante rischierebbe di attentare al principio della parità delle parti relativamente all'osservanza dei termini processuali perentori.

(massima n. 2)

Nel caso d'impugnazione di disposizioni contenute nel piano regolatore generale o in una sua variante - anche fuori dei casi in cui il ricorrente deduca la lesione di prescrizioni che direttamente incidano sui suoli in sua proprietà, censurandone la destinazione, ovvero l'imposizione su di essi di vincoli espropriativi - è ammissibile pure il ricorso proposto dai proprietari di aree vicine o confinanti con quelle cui si riferisce la prescrizione contestata, necessitando in tale evenienza che sia dimostrata anche la sussistenza di un pregiudizio specifico e attuale rinveniente ai suoli di proprietà del ricorrente medesimo per effetto della scelta di pianificazione della quale si assume l'illegittimità, fermo - altresì - restando che agli effetti della sussistenza di un interesse "qualificato" o "differenziato" che dir si voglia comunque concorrono ulteriori interessi specifici, quali la tutela della salubrità ed il non deprezzamento della proprietà immobiliare e del contesto ambientale che la circonda.

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