Consiglio di Stato Sez. VI sentenza n. 2737 del 29 aprile 2019

(2 massime)

(massima n. 1)

Nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l'obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell'art. 70 del D.Lgs. n. 104/2010, con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice.

(massima n. 2)

L'art. 24, comma 3, L. n. 241 del 1990 opportunamente esclude dall'accesso le istanze preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni, tenuto conto che lo strumento dell'accesso documentale, postulando, a norma dell'art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241 del 1990 un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, non è dato in funzione della tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, vale a dire a un controllo generalizzato da parte di chiunque sull'attività dell'amministrazione, ma alla salvaguardia di singole posizioni differenziate e qualificate e correlate a specifiche situazioni rilevanti per la legge, che vanno dimostrate dal richiedente che intende tutelarle. In ossequio all'interpretazione della disciplina sull'accesso documentale, plasticamente applicabile al nuovo istituto dell'accesso civico generalizzato, la tutela da parte dell'aspirante accedente nei confronti del silenzio rifiuto, del provvedimento espresso di diniego, totale o parziale e del provvedimento con cui si dispone il differimento, formatisi o resi dall'amministrazione su una istanza estensiva, deve essere esercitata entro e non oltre il termine decadenziale di trenta giorni (ai sensi dell'art. 116, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010), decorrente dallo spirare del termine procedimentale di trenta giorni (previsto dall'art. 25, quarto comma, L. n. 241 del 1990 per l'accesso documentale e, per l'accesso civico, dall'art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 33 del 2013), sicché la proposizione della domanda giudiziale oltre il termine decadenziale di impugnazione del diniego di accesso civico generalizzato: 1) rende irricevibile il ricorso tardivamente proposto dinanzi al giudice amministrativo (ovvero nelle sedi giustiziali indicate nell'art. 5, commi 8 e 9, D.Lgs. n. 33 del 2013); 2) rende inammissibile la (ri)proposizione di una domanda di accesso (civico generalizzato) dello stesso tenore di quella fatta oggetto del silenzio diniego, del provvedimento espresso di diniego parziale o totale ovvero del provvedimento di differimento non tempestivamente impugnati.

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