Consiglio di Stato Sez. Ad. Plen. sentenza n. 3 del 23 marzo 2011

(9 massime)

(massima n. 1)

Sulla base di principi già desumibili dal quadro normativo precedente ed oggi recepiti dall'art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, il Giudice amministrativo è chiamato a valutare, senza necessità di eccezione di parte ed acquisendo anche d'ufficio gli elementi di prova all'uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento e dell'utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente, evitato in tutto o in parte il danno.

(massima n. 2)

La disciplina recata dal nuovo codice del processo amministrativo (in specie, dagli art. 30, commi 1 e 3, e 34, commi 2 e 3) consacra, in termini netti, la reciproca autonomia processuale tra la tutela caducatoria e quella risarcitoria, con l'affrancazione del modello risarcitorio dalla logica della necessaria "ancillarità" e "sussidiarietà" rispetto al paradigma caducatorio.

(massima n. 3)

Nel nuovo quadro normativo disegnato dal codice del processo amministrativo, sensibile all'esigenza di una piena protezione dell'interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, risulta coerente che la domanda risarcitoria, ove si limiti alla richiesta di ristoro patrimoniale senza mirare alla cancellazione degli effetti prodotti del provvedimento, sia proponibile in via autonoma rispetto all'azione impugnatoria e non si atteggi più a semplice corollario di detto ultimo rimedio secondo una logica gerarchica che il codice del processo ha con chiarezza superato.

(massima n. 4)

Allorquando innanzi al a.g.a. venga domandato il risarcimento del danno senza la preventiva impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo e dannoso, lo stesso g.a. è chiamato a svolgere un'analisi dei rapporti sostanziali non tanto sul piano dell'ingiustizia del danno ma su quello della causalità: detta indagine, infatti, consente in modo più appropriato di introdurre il necessario temperamento all'autonomia processuale delle tutele, cogliendo la dipendenza sostanziale, come fatto da apprezzare in concreto, tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria.

(massima n. 5)

L'obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell'art. 1227 c.c. ha fondamento nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà: da ciò deriva che anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno.

(massima n. 6)

La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3, codice del processo amministrativo, deve ritenersi ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del comma 2, art. 1227 c.c. Pertanto l'omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.

(massima n. 7)

L'obbligo di cooperazione gravante sul creditore ex art. 1227 c.c. per evitare l'aggravarsi del danno non si estende fino al punto di sacrificare i suoi rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose.

(massima n. 8)

La disciplina recata dal nuovo codice del processo amministrativo (in specie, dagli art. 30, comma 3, e 124), pur negando la sussistenza di una pregiudizialità di rito, dimostra di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza eziologica dell'omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso. Peraltro, l'ipotetica incidenza eziologica non è propria soltanto della mancata impugnazione del provvedimento dannoso, ma riguarda anche l'omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l'assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell' autotutela amministrativa (cd. invito all'autotutela).

(massima n. 9)

Allorquando innanzi al a.g.a. venga domandato il risarcimento del danno senza la preventiva impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo e dannoso, lo stesso g.a. è chiamato a verificare se nel novero dei comportamenti esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo sia sussumibile, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., anche la formulazione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, quante volte l'utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio.

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