Consiglio di Stato Sez. II sentenza n. 3217 del 20 maggio 2019

(2 massime)

(massima n. 1)

La possibilità di pervenire al risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo deriva solo se l'attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l'interesse legittimo, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento. Rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno, del quale l'art. 30 del D.lgs 104/2010 prevede il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché, nella sistematica dei rapporti di diritto pubblico, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole dell'amministrazione pubblica, l'interesse materiale al quale il soggetto aspira. Infatti, è la lesione al bene della vita che qualifica in termini di "ingiustizia" il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell'Amministrazione, così da consentire di configurare l'illecito risarcibile ai sensi del citato art. 30. Invero, la pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell'interesse legittimo si fonda su una lettura di tale fondamentale norma del codice del processo amministrativo che riferisce il carattere dell'ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità - oltre a una condotta rimproverabile - è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento ed, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del legittimo agire dell'Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell'interesse. Nel caso di procedimenti amministrativi coinvolgenti interessi di tipo oppositivo, la lesione dell'interesse implica ex se la lesione del bene della vita preesistente al provvedimento affetto da vizi di illegittimità, sicché l'accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure di per sé stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del privato. In altri termini, la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'amministrazione, indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualità spetta all'amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l'assenza di colpa. Infatti, la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, un elemento idoneo a presumere la colpa della P.A., spettando poi a quest'ultima l'onere di provare il contrario. Se è vero che l'acclarata illegittimità del provvedimento amministrativo integra ai sensi degli artt. 2727 c.c. e 2729 c.c., il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa della P.A., è vero anche che l'illegittimità di un atto e il suo conseguente annullamento non danno automaticamente diritto ad un risarcimento del danno, atteso che la presenza di un danno risarcibile e la condanna al risarcimento non sono una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento dato che è necessaria la positiva verifica della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito. Per valutare se sussistano i presupposti della domanda risarcitoria, è necessaria la positiva verifica di tutti gli elementi che caratterizzano l'illecito: la sussistenza della colpa o del dolo della Pubblica amministrazione, la lesione di un interesse tutelato dall'ordinamento e la presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all'evento dannoso.

(massima n. 2)

Ai sensi dell'art. 104 D.Lgs. n. 104/2010, non possono essere utilizzati documenti non prodotti nel giudizio di primo grado. Infatti il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata al pari delle prove c.d. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado ovvero alla valutazione della loro indispensabilità.

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