Consiglio di Stato Sez. V sentenza n. 2852 del 12 giugno 2017

(2 massime)

(massima n. 1)

L'art. 26, comma 2, c.p.a., novellato dal d.lgs. n. 195 del 2011, entrato in vigore l'8 dicembre 2011, dispone che: "Il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio. Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si applica l'articolo 15 delle norme di attuazione". Tale norma contiene una previsione normativa di chiusura dell'ordinamento processuale amministrativo che consente di approntare, in via generale e residuale, un'adeguata reazione alla violazione del principio internazionale e costituzionale del giusto processo, espressamente richiamato dall'art. 2, comma 1, c.p.a., non diversamente tipizzata; si evita, altresė, la beffa di norme processuali, prescrittive di oneri ed obblighi, ma minus quam perfectae, ossia prive di una sanzione. La norma in questione č in particolare applicabile anche nel caso di violazione del dovere di sinteticitā sancito dall'art. 3, comma 2, c.p.a., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.), a sua volta corollario del giusto processo, che assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell'interesse pubblico in occasione del controllo sull'esercizio della funzione pubblica e che č infatti icasticamente richiamato dal comma 1.

(massima n. 2)

Nel caso in cui l'appello ecceda i limiti dimensionali prescritti (nella specie si applicava il previgente limite, applicabile ratione temporis, fissato dal decreto dal Presidente del Consiglio di Stato con il decreto 25 maggio 2015, pubblicato in G.U.R.I. 5 giugno 2015, in attuazione di quanto previsto dall'art. 120, comma 6, del medesimo codice, come modificato dall'art. 40 D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, con la legge 11 agosto 2014, n. 114 prevedeva un numero massimo di 30 pagine, escluse intestazioni e riassunto dei motivi), senza l'autorizzazione preventiva dal Presidente del Consiglio di Stato, la parte dell'appello eccedente i limiti sopra descritti non č esaminabile (fattispecie relativa ad appello di 124 pagine).

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