Consiglio di Stato Sez. VI sentenza n. 1983 del 31 marzo 2011

(8 massime)

(massima n. 1)

Le disposizioni di diritto interno volte ad assicurare pienezza ed effettività di tutela processuale al diritto comunitario sostanziale, devono soddisfare due requisiti: a) garantire che le modalità di tutela non siano meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi ricorsi di diritto interno (principio di equivalenza); b) garantire che gli strumenti processuali non siano tali da rendere in pratica impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).

(massima n. 2)

In via generale, il rispetto dei principi di parità di trattamento ed effettività non osta a che lo Stato membro assoggetti la tutela di una posizione giuridica di diritto comunitario derivato ad un termine di decadenza, a condizione che la fissazione di tale termine sia equivalente a quella prevista per posizioni giuridiche di diritto interno, e che il termine non sia di esiguità tale da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio effettivo della tutela delle posizioni giuridiche di matrice comunitaria.

(massima n. 3)

Al fine di stabilire se un atto sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio, occorre verificare se sia stato adottato (o non) senza nuova istruttoria e nuova ponderazione di interessi.

(massima n. 4)

L'atto amministrativo violativo del diritto comunitario è affetto dal vizio di illegittimità per violazione di legge e non dal vizio della nullità ciò perché l'art. 21 septies L. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, e non vi rientra la violazione del diritto comunitario. Ne consegue pertanto sul piano processuale, l'onere dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario, dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza, pena la inoppugnabilità e sul piano sostanziale, l'obbligo per l'Amministrazione di dar corso all'applicazione dell'atto, salva l'autotutela.

(massima n. 5)

Anche se la domanda risarcitoria è proponibile in via autonoma, il giudice amministrativo deve tenere conto, nel merito, dell'imputabilità, alla condotta colpevole del danneggiato, della mancata proposizione di una domanda giudiziale di annullamento dell'atto che, incidentalmente, è stato qualificato come illegittimo e colposamente causativo di danno ingiusto.

(massima n. 6)

Nella condotta positiva richiesta al danneggiato per ordinaria diligenza (art. 1227, cpv., c.c.: "Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza") rientra anche l'onere di un'azione giudiziale di annullamento avverso quell'atto amministrativo, con la conseguenza che si deve escludere la responsabilità dell'Amministrazione, se emerge che il danno avrebbe potuto essere contenuto o evitato attraverso la diligente cura, anche giudiziale, delle posizioni del danneggiato.

(massima n. 7)

La colpa dell'Amministrazione va ricondotta alla violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili. Siffatta colpa, dunque, non può essere ritenuta presente in re ipsa (cioè riferibile alla mera illegittimità dell'atto), ma va dimostrata in riferimento alla condotta amministrativa in relazione ai suoi parametri generali in ragione dell'interesse, giuridicamente protetto, di chi correttamente instaura un rapporto con l'Amministrazione.

(massima n. 8)

L'inclusione di impugnare un atto amministrativo che si asserisce illegittimo nell'ordinaria diligenza cui è tenuto l'avente diritto al risarcimento comporta l'esclusione della responsabilità dell'Amministrazione, se emerge che il danno avrebbe potuto essere contenuto od evitato attraverso la diligente cura, anche giudiziale delle posizioni di costui. Questa regola ridonda sull'esistenza e sull'entità dello stesso diritto al risarcimento del danno da atto illegittimo, cioè alla riparazione essenzialmente per equivalente: nel senso che non spetta se l'interessato, non assolvendo a quel canone generale, non ha fatto quanto poteva per giungere alla riparazione della lesione, finanche attraverso l'azione di annullamento.

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