Cassazione civile Sez. I sentenza n. 6003 del 17 marzo 2006

(2 massime)

(massima n. 1)

È improponibile in appello la domanda di risarcimento danni, che, a seguito della dichiarata nullità, da parte del giudice di primo grado, del contratto di cessione volontaria, in relazione al quale si fondava la pretesa di pagamento del residuo prezzo, la stessa parte proponga in relazione all'affermata illegittimità della procedura espropriativa, prospettando in tal modo una situazione giuridica fondata su un mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e introducendo un nuovo tema di indagine e di decisione difforme dall'oggetto sostanziale dell'azione esercitata.

(massima n. 2)

Il necessario contemperamento tra il potere che l'art. 1421 c.c. attribuisce al giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto ed il principio della domanda sancito negli artt. 99 e 112 c.p.c. delinea un sistema che trova operatività laddove il suddetto atto rappresenti elemento costitutivo della domanda, che inerisce alla sua esecuzione o alla sua applicazione, prescindendo dall'attività assertiva delle parti, di guisa che la nullità può essere rilevata d'ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, a condizione che, se il relativo potere venga esercitato in sede impugnatoria, la pronuncia di nullità si basi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, anche se, qualora la questione sia stata posta da taluna di esse, vengano enucleate ipotesi normative difformi da quelle dedotte (in applicazione del principio, si è confermata la declaratoria di nullità, da parte della Corte d'appello, di una cessione volontaria riferita dal primo giudice, su eccezione di parte, al difetto di «oggetto possibile» in considerazione del fatto che il negozio era stato concluso in difetto del potere dell'ente pubblico, quando era ormai spirato il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e l'oggetto dell'atto era comunque già stato acquisito al demanio).

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