Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1330 del 21 maggio 1998

(1 massima)

(massima n. 1)

L'esposizione nell'ordinanza impositiva di una misura cautelare personale dei motivi per i quali gli elementi di fatto «assumono rilevanza» non può non tenere «conto anche del tempo intercorso dalla commissione del reato»; ciò in quanto il fattore tempo viene in considerazione non solo relativamente alle esigenze cautelari, ove il parametro temporale assume rilievo prognostico per saggiare il periculum libertatis, ma anche con riferimento al quadro indiziario, rispetto al quale il suddetto parametro costituisce criterio per apprezzare le relative fonti in termini di credibilità. Tuttavia per quanto concerne il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, l'elemento «decorso del tempo» può essere utilmente valutato ai fini di superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari solamente se e da quando risulti che l'indagato è receduto dall'associazione o che la stessa si è sciolta. Data la natura permanente del reato in questione, non è infatti determinante la circostanza che i gravi indizi risalgano nel tempo, perché la data di questi ultimi non equivale a quella della cessazione della consumazione del reato associativo.

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