Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 12357 del 25 novembre 1998

(2 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della sussistenza del reato di corruzione propria, se l'illegittimità dell'atto può costituire un indice della sua contrarietà ai doveri di ufficio, la corrispondenza dell'atto ai requisiti di legge non esclude l'asservimento della funzione pubblica, per denaro, agli interessi privati, come nel caso in cui la violazione dei doveri di ufficio si realizzi attraverso la violazione del dovere di imparzialità, sempre che quest'ultima si risolva in un'inottemperanza specifica inerente al contenuto e alle modalità degli atti da compiere. (Fattispecie in tema di verifica fiscale compiuta da appartenenti alla guardia di finanza).

(massima n. 2)

In tema di corruzione propria, l'atto contrario ai doveri di ufficio, oggetto dell'accordo illecito, non deve essere individuato nei suoi connotati specifici, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di singoli atti non preventivamente fissati o programmati, ma, pur sempre, appartenenti al genus previsto. Ricorre una situazione del genere allorché il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del privato in violazione del dovere di imparzialità, onestà e vigilanza — situazione in cui non è possibile prevedere specifici atti contrari ai doveri d'ufficio — e il privato miri ad assicurarsi un ampio atteggiamento di favore da parte del pubblico ufficiale. (Fattispecie in tema di verifica fiscale da parte di appartenenti alla guardia di finanza).

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