Cassazione penale Sez. I sentenza n. 429 del 18 giugno 1994

(1 massima)

(massima n. 1)

L'art. 2, comma 1, della L. 12 luglio 1991, n. 203 dichiarando applicabili anche alla liberazione condizionale le condizioni previste dall'art. 4 bis della L. 26 luglio 1975, n. 354, opera una sorta di «rinvio recettizio permanente» per il quale ogni modifica apportata alla disposizione richiamata per i benefici in essa contemplati si applica automaticamente in materia di liberazione condizionale. Conseguentemente per effetto della modifica del citato art. 4 bis, operata dall'art. 15 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 (convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356) la liberazione condizionale, al pari dei benefici indicati nella norma modificata può essere concessa, a chi sia stato condannato per taluno dei delitti ivi contemplati, alla sola condizione che risulti prestata attività di collaborazione ai sensi dell'art. 58 ter della L. 7 agosto 1992, n. 356. Siffatta limitazione d'altro canto opera anche per l'ipotesi di condanna inflitta prima della vigenza della suddetta normativa non potendosi invocare il principio della irretroattività della legge più sfavorevole che riguarda solo le norme incriminatrici, nelle quali non si inseriscono quelle che disciplinano l'esecuzione della pena e le misure a queste alternative. (Affermando siffatti principi la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento del tribunale di sorveglianza che aveva escluso la ricorrenza delle condizioni per la concessione della liberazione anticipata a soggetto condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione, stante la mancata prova della collaborazione con la giustizia richiesta dalla legge).

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