Cassazione penale Sez. I sentenza n. 396 del 11 marzo 1994

(1 massima)

(massima n. 1)

L'onere di prospettare, da parte del condannato, fatti specifici sui quali si fonda la richiesta di applicazione in sede esecutiva dell'istituto della continuazione consente al giudice di individuare elementi rivelatori dell'identità del disegno criminoso unificatore, che ben può persistere anche dopo condanne non definite o irrevocabili o dopo lo stato di detenzione, e però è ben distinto dalla ripetizione o dall'abitualità di determinati comportamenti, anche se cronologicamente vicini, o dall'instaurazione di un sistema di vita, che di per sé possono anche essere indici di riferimento neutri non automaticamente rapportabili al referente legislativo previsto dall'art. 81, secondo comma, c.p. (In motivazione la Suprema Corte ha elencato, tra gli indici rivelatori dell'identità del disegno criminoso, la distanza cronologica tra i fatti criminosi, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l'omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo, precisando che, anche dall'esame di uno soltanto di essi — purché pregnante, sì da diventare idoneo, nel caso singolo, ad essere privilegiato in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo di continuazione — il giudice accerta se sussista la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge confluenti nell'ambito di una previsione originaria unitaria riconducibile, o meno, all'ideazione complessiva iniziale).

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