Cassazione penale Sez. I sentenza n. 3819 del 31 marzo 1994

(2 massime)

(massima n. 1)

Il criterio distintivo tra omicidio volontario e omicidio preterintenzionale consiste nell'elemento psicologico nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volontà dell'agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volontà dell'agente è quella di uccidere la vittima. Tale volontà deve ritenersi sussistente non soltanto quando l'agente abbia agito con l'intenzione di uccidere, ma anche quando egli si è rappresentato l'evento morte come conseguenza altamente probabile della sua condotta che, ciò nonostante, ha posto in essere. (Nella specie si è ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso la preterintenzione e ritenuto il dolo sulla base di precise risultanze processuali, quali la micidialità dell'arma e del proiettile adoperati, la breve distanza tra sparatore e vittima, la parte del corpo attinta, il comportamento tenuto dall'imputato prima e dopo l'episodio delittuoso).

(massima n. 2)

Se è vero che l'imputato ha diritto a tacere o anche di mentire, è anche vero che il suo comportamento processuale può essere valutato dal giudice, che può trarre da esso il convincimento di una personalità negativa, tanto più se l'imputato ha mostrato un elevato grado di insensibilità verso i familiari della vittima, fornendo dichiarazioni non veritiere sul suo conto e sul suo movente. (Fattispecie in tema di ritenuta legittimità del diniego di attenuanti generiche all'imputato che mente).

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