Cassazione penale Sez. III sentenza n. 9096 del 6 ottobre 1993

(2 massime)

(massima n. 1)

Anche in presenza di una abolitio criminis il giudice, prima di prosciogliere con la corrispondente formula, deve verificare se sussistano le condizioni per l'applicazione di una formula più favorevole, e, quindi, se vi sia la prova che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, come pure se manchi del tutto la prova che il fatto sussista o che l'imputato lo abbia commesso. Con riguardo, però, a tale ultima ipotesi, alla mancanza totale della prova non può equipararsi, sulla scorta di quanto previsto dall'art. 530 comma 2 c.p.p., la insufficienza o contraddittorietà della stessa, giacché altrimenti, posto che la disciplina dettata dall'art. 129 c.p.p. (riproduttivo dell'art. 152 del codice previgente) presuppone il concorso di varie cause di proscioglimento, verrebbe di fatto a vanificarsi il criterio dell'evidenza cui il legislatore, in detta norma ha condizionato la preferenza dell'assoluzione in fatto su ogni altra formula concorrente. In caso poi di morte del reo successiva all'abolitio criminis, la formula di proscioglimento in diritto «perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato» prevale sulla declaratoria di estinzione del reato, non potendosi dichiarare estinto un fatto-reato che la legge non considera più tale.

(massima n. 2)

La norma dell'art. 152 cpv.p.p., regola il concorso processuale tra una causa di estinzione del reato e una formula di assoluzione nel merito, stabilendo che prevalga la seconda ogni volta che sia assistita dall'evidenza della prova. Invece il concorso processuale di più formule di assoluzione nel merito (fatto non sussiste, fatto non commesso dall'imputato, fatto non costituente reato, fatto non previsto dalla legge come reato) non è disciplinato dal testo letterale della norma. In tal caso il giudice deve in presenza di una pluralità di esiti, non tutti egualmente liberatori per l'imputato, ispirandosi al principio del favor rei, scegliere la formula di proscioglimento più ampia, sempre che sia assistita da una prova evidente. In base a tali criteri, quando il fatto non è più preveduto dalla legge come reato, sia in seguito a una pura e semplice abolitio criminis, sia in seguito alla trasformazione dell'illecito penale in illecito amministrativo, il giudice è tenuto a verificare se allo stato degli atti non risulti già evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non l'ha commesso o che il fatto non costituisce reato. A tal fine, alla prova positiva dell'innocenza (che il fatto non sussiste, che l'imputato non l'ha commesso, ecc.) è equiparata la mancanza totale della prova della responsabilità (ex art. 479, terzo comma, c.p.p. 1930 e art. 530, secondo comma, c.p.p.). L'ulteriore equiparazione operata dallo stesso art. 530, secondo comma, c.p.p. tra mancanza totale e insufficienza o contraddittorietà della prova, invece, non può essere applicata nella sua assolutezza quando sussista un concorso processuale di cause di proscioglimento, perché altrimenti, in tal caso, verrebbe a vanificarsi il criterio della «evidenza» adottato dal legislatore per risolvere il predetto concorso (col risultato paradossale che l'evidenza di cui all'art. 152 cpv. c.p.p. 1930 e all'art. 129 cpv. c.p.p. ricorrerebbe anche quando vi fosse ambiguità probatoria ex art. 530 c.p.p.).

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