Cassazione penale Sez. V sentenza n. 398 del 18 gennaio 1993

(1 massima)

(massima n. 1)

Ai fini della distinzione tra furto consumato e furto tentato, non hanno rilevanza né il criterio spaziale, né il criterio temporale. Perché il reato possa dirsi consumato, dunque, è sufficiente la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore ed il correlativo impossessamento (conseguimento della fisica ed autonoma disponibilità) di essa da parte dell'agente, anche per breve lasso di tempo. Né la consumazione è esclusa dalla circostanza che l'agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione, a causa del pronto intervento dell'avente diritto o della forza pubblica. Solo ove vi sia stata la vigilanza di costoro, all'insaputa dell'agente e nel corso dell'azione delittuosa, sicché questa avrebbe potuto essere bloccata, il furto non può considerarsi consumato. Ciò perché in tali condizioni, anche se l'agente si fosse impossessato della cosa, non si sarebbe potuto realizzare l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, rimasta sempre nella sfera di diretto controllo e vigilanza dell'offeso. (Fattispecie di furto in abitazione).

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