Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1258 del 28 luglio 1992

(1 massima)

(massima n. 1)

Per l'accertamento della sussistenza della continuazione non bisogna avere riguardo agli intenti perseguiti dall'autore delle diverse azioni delittuose, giacché l'identità del movente è insufficiente a rivelare la medesimezza del disegno criminoso, il quale non va poi confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto, essendo invece necessario che le singole violazioni di legge siano tutte rapportabili ad un atto psichico unico, ossia siano state previste e deliberate come momenti di attuazione di un programma preventivamente ideato ed elaborato nelle sue linee generali ed essenziali. Pertanto, l'unicità dell'ideazione deve escludersi quando il colpevole abbia agito, sia pure in base allo stesso movente, preordinando di volta in volta le attività da compiere in vista del soddisfacimento di contingenti esigenze personali e materiali. Tali presupposti interpretativi non hanno subito modificazione con la disposizione dell'art. 671 c.p.p., la quale si inserisce nel processo di espansione applicativa dell'istituto della continuazione al di là dei confini del giudizio di cognizione, senza, però, intaccare le regole che presiedono alla sua disciplina.

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