Cassazione penale Sez. I sentenza n. 3922 del 4 dicembre 1991

(1 massima)

(massima n. 1)

Il vigente ordinamento processuale, al pari di quello precedente, pur attribuendo al pubblico ministero nella fase esecutiva poteri di notevole rilevanza e di immediata incidenza sulla libertà personale (quale quello di disporre l'esecuzione di una pena detentiva irrogata con sentenza passata in giudicato e di ordinare la carcerazione del condannato) non prevede la possibilità di autonoma e diretta impugnazione dei suoi provvedimenti. La ragione dell'inoppugnabilità deve rinvenirsi nella natura non giurisdizionale di tali atti, i quali — promanando da un organo, la cui competenza è generalmente di carattere esecutivo o amministrativo (v. art. 665 del nuovo codice di rito, che trova il suo esatto corrispondente nell'art. 577 del codice abrogato) — non hanno contenuto decisorio in senso stretto e attitudini a definire il rapporto processuale. Essi, se sono sottratti a qualsiasi mezzo impugnatorio, possono, però, al fine di evitare il verificarsi di situazioni pregiudizievoli per il condannato essere sottoposti al controllo del giudice della esecuzione, il quale, se richiesto dalla parte interessata, dovrà pronunciarsi, osservando le garanzie giurisdizionali proprie del procedimento previsto dall'art. 666 c.p.p., con ordinanza che è ricorribile per cassazione. (Fattispecie di ricorso per cassazione avverso decreto di cumulo del procuratore della Repubblica, qualificato come incidente di esecuzione con conseguente trasmissione al giudice dell'esecuzione per l'ulteriore corso).

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