(massima n. 2)
            L’interpretazione degli atti amministrativi deve ritenersi  riservata all’apprezzamento del  giudice del  merito ed  è  censurabile  in  sede  di  legittimità soltanto  per  violazione  dei  criteri  di  ermeneutica contrattuale  o  per  vizi  di  motivazione,  quando  essa risulti contraria a logica ed incongrua e, cioè, tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione adottata. Inoltre,  per  sottrarsi  al  sindacato  di  legittimità,  quella data dal giudice all’atto amministrativo non deve essere l’unica  interpretazione  possibile,  o  la  migliore  in astratto,  ma  una  delle  possibili  e  plausibili interpretazioni. In ogni caso, la censura non può essere formulata  mediante  l’astratto  riferimento  alle  regole legali  di  interpretazione,  essendo  imprescindibile  la specificazione dei canoni in concreto violati, delle norme ermeneutiche  che  sarebbero  state  effettivamente violate,  specificandosi  in  quale  modo  e  con  quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato. (Nella specie, alla stregua dei riportati principi, la S.C. ha  rigettato  il  proposto  ricorso,  rilevando  che  la ricorrente  si  era  inammissibilmente  limitata  a contrapporre la propria  interpretazione a quella svolta dal  giudice  del  merito,  senza  neppure  riportare  il contenuto dell’atto transattivo, ovvero i brani dai quali avrebbe potuto desumersi che con lo  stesso era stata concessa  l’autorizzazione  di  cui  all’art.  23  del  codice della  strada,  sostenendo  apoditticamente  che  ciò era avvenuto e reiterando l’erronea affermazione relativa all’asserita  discrezionalità  dell’ente  pubblico sull’applicabilità della predetta norma).