Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 1525 del 19 febbraio 1997

(1 massima)

(massima n. 1)

La mera collaborazione familiare tra coniugi, di per sè insufficiente ove coincida con l'attività oggetto di uno degli obblighi e doveri di cui agli artt. 143 e 147 c.c. ad integrare il requisito della partecipazione all'impresa familiare disciplinata dall'art. 230 bis c.c., può valere ad individuare nel soggetto la qualità di partecipe alla detta impresa qualora risulti strettamente correlata e finalizzata alla gestione della stessa, quale espressione di coordinamento e frazionamento dei compiti nell'ambito del consorzio domestico, in vista dell'attuazione dei fini di produzione o di scambio dei beni o servizi proprio dell'impresa familiare. Infatti a norma del menzionato art. 230 bis l'attività di lavoro prestata in modo continuativo nell'impresa familiare conferisce titolo per partecipare, in proporzione alla quantità e qualità della prestazione resa, agli utili e agli incrementi aziendali, sicché tale attività non può che esser determinata in relazione all'accrescimento della produttività dell'impresa procurato dall'apporto del partecipante, restando peraltro escluso che nel caso di impresa familiare costituita in base a specifici accordi anziché per facta concludentia sorga a favore delle parti stipulanti una presunzione assoluta di fattiva collaborazione nell'impresa, insuscettibile di prova contraria.

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