Cassazione civile Sez. II sentenza n. 11258 del 17 dicembre 1996

(1 massima)

(massima n. 1)

Gli atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni previste dalla legge, e che, perciò, implicano tacita acquiescenza alla sentenza, ai sensi dell'art. 329 c.p.c., sono esclusivamente quelli che possono essere spiegati solo supponendo il proposito della parte di non contrastare gli effetti giuridici della sentenza e che per ciò stesso rivelano, oggettivamente, in modo inequivoco, una volontà in tal senso della parte che li ha posti in essere; conseguentemente, non implicano acquiescenza né l'iniziativa della parte totalmente o parzialmente soccombente che abbia fatto notificare alla controparte la sentenza in forma esecutiva né la richiesta di pagamento, e l'effettiva riscossione, ad opera della parte vittoriosa nel giudizio di appello di quanto alla stessa ivi riconosciuto dato che, per il primo degli atti considerati, la notificazione della sentenza, alla quale entrambi le parti sono legittimate, è solo atto diretto a far decorrere il termine breve di impugnazione e, per il secondo dei predetti atti, la richiesta di pagamento e l'effettiva riscossione possono essere ricondotte alla volontà di conseguire quanto già riconosciuto nella sentenza, di per sé non incompatibile con la volontà di impugnazione della medesima sentenza per il di più negato.

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