Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 1957 del 19 marzo 1983

(3 massime)

(massima n. 1)

Attesa la loro eccezionalità, i casi di revocazione della sentenza, tassativamente previsti dall'art. 395 c.p.c., sono di stretta interpretazione, ai sensi dell'art. 14 delle preleggi.

(massima n. 2)

La falsità di un atto del processo, che (come, nella specie, quella concernente la relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado) faccia apparire come esistente un elemento che in realtà manca, può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 1 c.p.c., solo se rappresenti un elemento di una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.

(massima n. 3)

Il concetto di «prova», ai fini dell'ipotesi di revocazione prevista dall'art. 395 n. 2 c.p.c., va inteso in senso strettamente strumentale rispetto alle domande ed alle eccezioni proposte dalle parti e cioè nel senso di mezzo di controllo della veridicità dei fatti posti a fondamento delle contrapposte pretese. Pertanto, l'ipotesi di falsità delle prove considerata dalla disposizione citata non è configurabile in ordine a falsità concernenti attività meramente processuale che (come, nella specie, la falsità della relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio) non incidono sulla veridicità delle prove sulle quali si è giudicato e vanno, perciò, fatte valere, nell'ambito dello stesso processo in cui sono state poste in essere, mediante le eccezioni di nullità ed i normali mezzi d'impugnazione.

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