Cassazione civile Sez. III sentenza n. 19180 del 19 luglio 2018

(2 massime)

(massima n. 1)

Si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto (ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa coerenti ed adeguate.

(massima n. 2)

La nozione di attività pericolosa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2050 c.c., non deve essere limitata alle attività tipiche, già qualificate come tali da una norma di legge, ma deve essere estesa a tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, dovendosi, di conseguenza accertare in concreto il requisito della pericolosità con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un'attività per natura non pericolosa può diventarlo in ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla. L'indagine fattuale deve essere svolta seguendo il criterio della prognosi postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell'esercizio dell'attività.

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