Cassazione penale Sez. III sentenza n. 2562 del 18 luglio 1996

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di revisione per prove nuove devono intendersi quelle che, se anche preesistenti alla sentenza di condanna, risultanti o meno dagli atti, non hanno formato oggetto di valutazione, espressa o implicita, da parte del giudice investito della cognizione, prescindendosi da ogni giudizio circa l'imputabilità alla parte interessata dell'omessa conoscenza giudiziale. Pertanto l'estinzione del reato verificatasi prima della sentenza di condanna può farsi valere in sede di revisione quando sia rilevabile in base ad elementi probatori non risultanti dagli atti del precedente giudizio, anche se l'omessa loro produzione sia ascrivibile a negligenza dell'istante.

(massima n. 2)

L'attribuzione di una forza espansiva all'espressione «prove nuove», di cui all'art. 630, lett. c), c.p.p., deriva da alcune differenze lessicali esistenti in detto precetto, nel quale l'aspetto valutativo viene maggiormente posto in luce, dalle relazioni all'attuale codice ed al progetto del 1978, da una sistematica lettura di alcune disposizioni del codice di rito (art. 629 con riferimento al decreto penale di condanna, art. 643 ed art. 637 c.p.p.) e dall'interesse pubblico al prevalere della realtà sostanziale sull'accertamento erroneo cristallizzato nel giudicato ed al permanere del principio del perseguimento di un risultato di conoscenza dei fatti (art. 507 c.p.p.) rispetto ad un rigido formalismo ed a regole poste per salvaguardare «il gioco delle parti». Pertanto l'ampia nozione di prova nuova si applica anche nel caso in cui il giudice non abbia valutato neppure implicitamente e non abbia conosciuto una prova, sempre che non si tratti di una prova dichiarata inammissibile o ritenuta superflua, anche per tardiva proposizione, giacché pure in queste ipotesi è stata valutata ed avverso un simile provvedimento vi sono soltanto le impugnazioni ordinarie.

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