Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3879 del 15 dicembre 2000

(1 massima)

(massima n. 1)

Allorché il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragione dell'ufficio o del servizio, dell'utenza telefonica intestata all'amministrazione, la utilizzi per effettuare chiamate di interesse personale, il fatto lesivo si sostanzia propriamente non nell'uso dell'apparecchio telefonico come oggetto fisico, bensì nell'appropriazione, che attraverso tale uso di consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della P.A., occorrenti per le conversazioni telefoniche; ne consegue, poiché tali energie non sono immediatamente restituibili dopo l'uso e l'eventuale rimborso delle somme corrispondenti all'entità dell'utilizzo vale solo come ristoro del danno cagionato, ma non può considerarsi equipollente alla restituzione della cosa mobile utilizzata, l'astratta configurabilità, nella predetta utilizzazione, dell'ipotesi di peculato prevista dall'art. 314, comma 1, c.p. e non di quella prevista dal comma 2 dello stesso articolo (c.d. peculato d'uso). Tuttavia, considerato che all'art. 10 del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto 31 marzo 1994 del Ministro della funzione pubblica, è prevista una deroga al principio generale del divieto d'uso dell'utenza telefonica da parte del pubblico dipendente «in casi eccezionali», nei quali quest'ultimo è tenuto a informare il dirigente dell'ufficio, ne discende che la ricorrenza della situazione di eccezionalità esclude la rilevanza penale della condotta indipendentemente dall'adempimento dell'obbligo di informativa, la cui inosservanza può rivestire, al più, rilievo disciplinare, ma non incie sulla autonoma e sostanziale valenza derogatoria del «caso eccezionale». (Fattispecie relativa a sette telefonate, di esiguo importo complessivo, effettuate nell'arco di un bimestre).

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