Cassazione penale Sez. I sentenza n. 4363 del 8 settembre 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

Avuto riguardo, da un lato, al disposto di cui all'art. 609, comma 2, c.p.p. (in base al quale la cognizione della Corte di cassazione si estende alle questioni - s'intende di legittimitą - non proponibili all'atto della presentazione del ricorso), dall'altro lato al principio stabilito dall'art. 299, comma 1, c.p.p., secondo il quale il giudice deve, in ogni stato e grado del procedimento, verificare la persistenza delle condizioni atte a legittimare la privazione della libertą personale, anche la Corte di cassazione, in presenza di una modifica legislativa che incida sulle condizioni anzidette in senso favorevole all'interessato, deve affrontare la questione, comunque venga sollecitata a farlo, e pur non potendo, dati i limiti del suo sindacato, compiere sul punto valutazioni inibitele dalla legge, ha nondimeno l'obbligo di devolvere la soluzione del problema al giudice competente, annullando in tutto od in parte il provvedimento sottoposto al suo esame. (Principio affermato in relazione a ricorso - peraltro rigettato per diverse ragioni - proposto avverso ordinanza applicativa di misura cautelare per reato compreso fra quelli di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., prima della modifica di tale norma introdotta dall'art. 5 della L. 8 agosto 1995 n. 332, in forza della quale quel reato rimaneva escluso dall'ambito di operativitą della norma stessa).

(massima n. 2)

L'art. 311, comma 2, c.p.p., nel consentire il ricorso diretto per cassazione avverso i provvedimenti applicativi di misure cautelari solo per «violazione di legge», ha inteso riferirsi ai soli casi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) e c), con esclusione, quindi del vizio di motivazione di cui alla lett. e) del medesimo articolo, salvo il caso di totale carenza o di mera apparenza della motivazione stessa.

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