Cassazione civile Sez. I sentenza n. 5962 del 5 marzo 2008

(2 massime)

(massima n. 1)

È manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità dell'art. 2, comma 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, in materia di nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lettere a) e b), si applicano soltanto alle azioni proposte nell'ambito di procedure iniziate dopo l'entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, introduce una disciplina diversa per situazioni identiche; tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza che invero si aprono in base a regole diverse vigenti all'atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una mutata normativa, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma; ne deriva l'inesistenza di dubbi con riguardo sia agli artt. 3, 24 e 41 Cost., sia all'art. 77 Cost., il cui presupposto di necessità ed urgenza ha trovato, nell'apprezzamento discrezionale del legislatore, fondamento nel proposito di assicurare migliori condizioni di competitività alle imprese, attraverso una tutela rafforzata delle posizioni giuridiche dei finanziatori, specie bancari, relativamente alle aspettative di recupero o restituzione delle risorse erogate alle imprese insolventi.

(massima n. 2)

Non contrasta con l'art. 81 del Trattato CE, sulla concorrenza tra imprese appartenenti a diversi Stati membri, la disciplina della revocatoria fallimentare della rimessa bancaria dettata dall'art. 67 legge fall., nel testo (applicabile ratione temporis) anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito nella legge n. 80), nel presupposto che essa, accollando alle banche operanti in Italia oneri altrove non previsti, limiti la libertà di stabilimento posta dalla norma: infatti, non è l'azione predetta a costituire ostacolo all'investimento di capitali o alla prestazione di servizi o all'assunzione di partecipazioni, ma semmai il fenomeno che essa tende a correggere, così regolando gli interessi coinvolti, cioè l'insolvenza; rappresenta invero un freno alla libera circolazione l'assenza di misure repressive, anche nei termini civilistici e patrimoniali, delle condotte causative del dissesto, riguardate come atti preferenziali lesivi della par condicio creditorum ne consegue l'inammissibilità del rinvio alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 234 Trattato CE, per una pronuncia pregiudiziale interpretativa delle norme del Trattato, essendo la disciplina anteriore alla citata riforma del 2005 addirittura di maggiore garanzia per gli investitori comunitari in materia di insolvenza dei propri debitori, in quanto consente un maggior recupero di attivo di quanto reso possibile dalla predetta novella.

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