Cassazione penale Sez. III sentenza n. 2540 del 17 marzo 1997

(1 massima)

(massima n. 1)

Le dichiarazioni rese dalla vittima del reato, cui la legge conferisce la capacità di testimoniare, possono essere assunte quali fonti di convincimento al pari di ogni altra prova senza necessità di riscontri esterni (non essendo applicabile al caso il canone di valutazione stabilito dall'art. 192 comma terzo c.p.p.); tuttavia il giudice non è esentato dal compiere un esame sull'attendibilità intrinseca del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto dell'assunto della persona offesa. (Nella specie, relativa ad annullamento di sentenza di condanna per violenza carnale ed altri reati commessi dall'imputato nei confronti della propria figlia, la Suprema Corte ha osservato che la deposizione della persona offesa era stata assunta quale unica fonte di prova senza un controllo sulla credibilità soggettiva della ragazza e sulla coerenza interna del suo racconto: nessuna verifica era stata fatta al fine di stabilire se lo snodarsi dei fatti storici, come riferito dalla stessa, fosse plausibile e realizzabile; i giudici avevano trascurato di esaminare la circostanza, pur di significativo peso e valore, che la persona offesa nutriva aperti sentimenti di odio e rancore verso il padre (già condannato per violenza carnale continuata nei suoi confronti); risultava accertato che l'imputato ostacolasse una relazione della figlia con atteggiamenti vessatori anche nei confronti del presunto amante (da lui inseguito in auto proprio il giorno dei fatti per cui è processo); anche il movente riferito dalla ragazza alla base dell'aggressione sessuale (non sfogo di libidine o desiderio di riagganciare la relazione, ma vendetta per «quell'altra volta») meritava un esame critico e, a tale proposito, le affermazioni accusatorie segnalavano un movente atipico per un reato sessuale, sicché la problematica della ritorsione deve essere affrontata allo scopo di accertare se sia ragionevole la versione di una vendetta così estemporanea e tardiva nei confronti della figlia (che tra l'altro non pare il soggetto che ha attivato il pregresso processo contro il padre); pur tema da indagare è se il movente della vendetta sia conciliabile con i sentimenti di affetto, pur particolari (anche interpretabili come insana gelosia) che legano l'uomo alla ragazza).

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