Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 480 del 20 gennaio 1992

(1 massima)

(massima n. 1)

Quando l'impugnante abbia rinunziato ad uno o più motivi di gravame, automaticamente il parametro del giudizio è ristretto ai superstiti, essendo inibito al giudice di prendere cognizione di quei capi e punti della decisione sui quali ha fatto acquiescenza la parte, la quale, poi, non potrebbe, a giudizio di impugnazione concluso, riproporre al giudice funzionalmente superiore, doglianze circa quei capi e punti, senza incorrere nella preclusione di cui all'art. 606, terzo comma, c.p.p. Peraltro, sin tanto che il rapporto processuale non si sia esaurito con la formazione del giudicato, il giudice deve procedere ex officio a quelle verifiche che la legge impone di operare in ogni stato e grado del processo, quali il rispetto delle norme sulla competenza funzionale e per materia, le pregiudizialità obbligatorie, l'immediata applicazione di formule assolutorie ex art. 129 c.p.p. Invero, se la legge dispone che determinate verifiche e specifiche nullità debbano essere, d'ufficio, eseguite e dichiarate in ogni stato e grado del processo, stante l'interesse superiore della collettività all'osservanza delle relative norme, l'eventuale acquiescenza, rinunzia o transazione della parte non può sortire effetti diversi da quelli voluti dalla legge.

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