Cassazione penale Sez. V sentenza n. 11928 del 17 novembre 1998

(2 massime)

(massima n. 1)

Le critiche rivolte ad un magistrato, cui si addebiti un atteggiamento di parzialità e di «reggenza o supplenza politica», nonché una concezione del procedimento penale come strumento di difesa sociale possono avere una diversa valenza a seconda che siano rivolte al pubblico ministero, che è parte, sia pure pubblica, nel processo, o al giudice che, nell'esercizio della giurisdizione, deve essere necessariamente terzo, senza che, peraltro, la diversità dei ruoli possa mai giustificare l'accusa di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi partitici. (Nella specie, in applicazione di detti principi, la S.C. ha escluso il carattere diffamatorio dell'espressione «difficilmente magistrati come Casson, Caselli, Cordova potranno fare politica e “giustizia” dai teleschermi», contenuta in uno scritto illustrativo delle prospettive che, ad avviso dell'autore, si sarebbero aperte successivamente all'esito delle elezioni politiche del 1994; espressione che la S.C. ha ritenuto essere stata arbitrariamente intesa dai giudici di merito nel senso che ai nominati magistrati sarebbe stata rivolta l'accusa di «approfittare dell'ufficio ricoperto per perseguire fini estranei e incompatibili e piegare l'attività giudiziaria a fini politici e di parte, avvalendosi della televisione pubblica quale strumento improprio per fare politica al riparo della toga.

(massima n. 2)

Non costituisce reato di diffamazione la critica ad un magistrato per l'esternazione, in dibattiti, interviste giornalistiche e televisive, di opinioni su argomenti legislativi, economici, sociali, politici, religiosi e di politica giudiziaria, rivolta da parte di chi lo ritenga, a torto o a ragione, destinatario dell'onus publicus di doverosa riservatezza. Esternando il proprio pensiero extra moenia, infatti, il magistrato finisce, in ultima analisi, per fare politica, pur nel senso etimologico di attività intellettuale, funzionale alla buona gestione della polis e si espone al rischio di giudizi di valore ed apprezzamenti positivi o negativi, cioè, in altri termini, di critiche politiche le quali, per principio, sono legittime, se contenute nel linguaggio e non pretestuosamente sostenute dalla finalità politica per realizzare, in effetti, solo una volgare denigrazione.

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