Cassazione penale Sez. V sentenza n. 340 del 17 febbraio 1967

(1 massima)

(massima n. 1)

La norma dell'art. 494 c.p., che reprime l'induzione di altri in errore ottenuta con i mezzi indicati dalla legge, richiede il concorso del dolo specifico dell'agente di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno. Ma il fine di vantaggio, che costituisce uno dei vari profili che tale elemento deve alternativamente assumere per il perfezionamento del reato, non deve necessariamente consistere in una utilitą di ordine patrimoniale, potendo riguardare anche qualsiasi aspetto personale o della vita di relazione, purché la perpetrazione del fatto valga come mezzo per il conseguimento dello scopo. Peraltro, non occorre che il vantaggio venga in concreto raggiunto, bastando il qualificato proposito criminoso. (Nella specie, l'imputato si sarebbe attribuito un falso nome e false qualitą personali, con l'intenzione di ottenere di venire introdotto nella casa di una persona, di esservi accolto da tutti i familiari come gradito ospite e come non disprezzabile candidato alla mano della sorella dell'ospitante).

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