Cassazione penale Sez. V sentenza n. 6793 del 12 luglio 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di diffamazione commessa a mezzo di trasmissioni radiofoniche e televisive, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l'art. 30, comma quinto, della legge 6 agosto 1990, n. 223, e cioè con riferimento al foro di residenza della parte lesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione. Ed invero la citata disposizione — nello stabilire tale competenza — menziona i «reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato», indipendentemente dalla persona che li abbia commessi; l'espressione ulteriore contenuta nella norma — e cioè «si applicano ai soggetti di cui al comma primo le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47» — riguarda il trattamento sanzionatorio, non già il comportamento che costituisce il reato, sanzionato diversamente a seconda della qualifica della persona che lo abbia attuato: ne segue che, quando nel comma quinto dell'art. 30 della suddetta legge n. 223 del 1990 si menzionano, ai fini della determinazione della competenza con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, «i reati di cui al quarto comma», questi comprendono anche la diffamazione consistente nell'attribuzione di un fatto determinato commesso da persona non rientrante tra quelle indicate nel comma primo, che dovrà essere giudicata dal tribunale, in relazione al richiamo all'art. 21 della legge n. 47 del 1948 contenuto nel comma quinto, nel cui circondario risiede la persona offesa.

(massima n. 2)

La falsità realizzata mediante l'indicazione, sul foglio di presenza del personale di una pubblica amministrazione, di una determinata ora di cessazione dal servizio diversa da quella reale, ancorché relativa ad una divergenza di soli quindici minuti, non può essere considerata inutile o innocua, perché è finalizzata a far apparire la presenza di un soggetto sul luogo di lavoro in un momento in cui lo stesso se ne è già allontanato; non può avere alcun rilievo, infatti, ai fini della configurabilità del reato, la maggiore o minore ampiezza temporale della falsità e cioè della divergenza tra la prestazione lavorativa reale e quella apparente, a meno che tale divergenza non si traduca in una insignificante ed inconsistente entità temporale, non suscettibile di seria valutazione ed inidonea a ledere o a mettere in pericolo l'interesse alla veridicità del mezzo di prova. (Nella specie la Corte ha precisato che la divergenza di quindici minuti postula di per sé, proprio perché si traduce in un'apprezzabile frazione dell'ora, un danno o un pericolo di danno tale da non escludere la falsa rappresentazione della realtà, che può rilevare non solo nei rapporti interni fra ente pubblico e dipendente ma anche in quelli esterni).

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